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La Chiesa calabrese coesa contro la 'ndrangheta

REGGIO CALABRIA È di questa mattina la presentazione del documento della Conferenza episcopale calabra, stilato da monsignor Salvatore Nunnari, che riguarda i rapporti tra Chiesa e criminalità…

Pubblicato il: 02/01/2015 – 12:47
La Chiesa calabrese coesa contro la 'ndrangheta

REGGIO CALABRIA È di questa mattina la presentazione del documento della Conferenza episcopale calabra, stilato da monsignor Salvatore Nunnari, che riguarda i rapporti tra Chiesa e criminalità organizzata. Proprio nell’ambito della “Pastorale sulla ‘ndrangheta”, i vescovi calabresi fanno un forte richiamo alla società civile e alle istituzioni che i vescovi calabresi: «La realtà criminale – scrivono – ha raggiunto ormai una dimensione “globalizzata”, trovando in alcune frange della politica e dei poteri forti deviati connivenze e collusioni che le permettono di piegare ai propri fini i suoi alleati, tante volte prezzolati in termini di denaro pulito e sporco, di tangenti, di favori e di raccolta di voti e consensi. Dinanzi a questo scenario, la Chiesa si china sull’uomo ferito e grida il suo dolore e la sua indignazione».  «Al potere mafioso, che permea ancora singoli e istituzioni – proseguono i presuli – dobbiamo opporre quel tanto auspicato e nuovo senso critico per discernere i valori evangelici e ‘l’impegno dei cristiani nella “polis”, come espressione della carità e dell’amore che il credente vive in Cristo, senza disertare la politica, anche se casi di corruzione spingerebbero a cedere alla tentazione di farsi da parte». 

«Sappiamo – proseguono – che il cammino è lungo, ma intendiamo ribadire con forza che le mafie, di cui la ‘ndrangheta è oggi la faccia più visibile e pericolosa, costituiscono un nemico per il presente e l’avvenire della nostra Calabria. Noi dobbiamo contrastarle, perché nemiche del Vangelo e della comunità umana. In nome del Vangelo, dobbiamo tracciare il cammino sicuro ai figli fedeli e recuperare i figli appartenenti alla mafia. Dalla presa di distanza alle forti denunce, dalla presa di coscienza alla testimonianza: è un cammino per arrivare oggi al deciso appello al pentimento, alla conversione, alla pacificazione del cuore di fronte alla luce del Vangelo che ci chiama alla testimonianza della verità».
«La Chiesa calabrese – è scritto ancora nella pastorale – avverte il grido di un popolo e di un territorio ferito nella sua dignità; accompagna il cammino sofferente di chi porta sulle spalle il peso di frequenti ingiustizie e di atteggiamenti estorsivi dentro i quali la mancanza di lavoro si salda con la piaga del lavoro nero. Il ricatto e l’usura si sposano con la promessa di guadagni facili attraverso la chimera del gioco d’azzardo e, sulla frontiera devozionale, all’intercessione dei santi patroni del cielo si sostituisce l’affidamento ai “padrini” di questa terra. Ma accanto alla gramigna – scrivono i vescovi – silenziosamente cresce il campo del bene che si distingue per la sua luminosità e la sua coerenza. Un campo seminato dal lavoro capillare e feriale di pastori e di laici che, nella predicazione, nella catechesi, nell’impegno sociale, hanno dissodato e coltivano il terreno, perché cresca – concludono – il buon grano».  

 

«COLLABORAZIONE CON LE PROCURE NECESSARIA MA LIMITATA»
«La nostra missione non sempre può coincidere con quella Procure». Lo hanno detto i vescovi calabresi nell’ambito dei lavori che si sono svolti nella sala monsignor Ferro della Curia arcivescovile di Reggio Calabria. «La conferma, “pubblica e solenne” che chi fa parte della ‘ndrangheta, di fatto è fuori dalla comunione con la Chiesa», affermano gli interessati, accompagnando la sottolineatura con un invito alla conversione ma anche con il dato che, pur nel «profondo rispetto per magistratura e forze dell’ordine, sapendo che alcuni hanno pagato finanche con la vita l’impegno nel contrastare la criminalità organizzata», la missione della Chiesa «non sempre può coincidere con l’azione inquirente o punitiva, propria dello Stato». 
«Non c’è, e non ci può essere – affermano i vescovi – commistione tra una fede professata e una vita disorientata dall’appartenenza a organizzazioni criminali. Alla chiarezza di tale annuncio, dobbiamo accompagnare quanto Gesù ci ha insegnato a proposito dell’accoglienza del peccatore e viene dallo Spirito chiamato alla conversione. Senza un cambiamento concreto, pubblico, senza una vera e propria presa di distanza dalla vita vissuta nel male – scrivono gli interessati – non si può parlare di pentimento e di vera conversione; sono questi i segni indispensabili per un reinserimento pieno del peccatore nella comunità e per un percorso di ricostruzione interiore».
«Annunciando il Vangelo – proseguono i presuli – la Chiesa denuncia il peccato, ma indica alle persone colpevoli la via della comunque possibile ricostruzione interiore ed esteriore, che passa dalla conversione del cuore, dalla riparazione, dalla vita rinnovata completamente in Cristo. La necessaria collaborazione fra Chiesa e Magistratura segue, pertanto e ovviamente, le singolari dinamiche dell’una e dell’altra; e trova il suo limite, per la natura stessa della Chiesa, in tutto ciò che riguarda il “foro interno” delle persone, cui la Chiesa si accosta come Madre, particolarmente nell’intimità del segreto confessionale che, mai, a costo perfino della vita, nessun ministro di Dio può tradire. La Chiesa non è la magistratura e non è la polizia, e non è neppure un tribunale civile, chiamato a distribuire patenti di mafiosità. Allora è necessario che la Chiesa sia se stessa, anche quando difende la verità del Vangelo di fronte al terribile fenomeno mafioso. Svolgendo quella specifica missione che il Signore le ha affidato, invita continuamente ogni creatura a immergersi nel Corpo di Cristo, da cui può rinascere a vita nuova, risorgendo perfino dai delitti – concludono – più efferati». 

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