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La solita storia di trasversalismi e inciuci

«Corre un virus, ed è sempre quello». Così Teresa Munari magistralmente sintetizza, sulle colonne de Il Garantista, la scena politica che ci viene consegnata dalla prima seduta del consiglio region…

Pubblicato il: 08/01/2015 – 11:53
La solita storia di trasversalismi e inciuci

«Corre un virus, ed è sempre quello». Così Teresa Munari magistralmente sintetizza, sulle colonne de Il Garantista, la scena politica che ci viene consegnata dalla prima seduta del consiglio regionale di questa decima legislatura.
Il virus è quello del trasversalismo e degli inciuci gestiti fuori dalle sedi istituzionali. Oliverio ci aveva promesso di liberarcene, lo stesso aveva fatto Magorno, invece la scena ripropone un film vecchio, una sorta di “Caposuvero 2”, stavolta senza Loiero. Bastava un’occhiata in tribuna a Palazzo Campanella per capire che era in corso una restaurazione da annichilire persino il congresso di Vienna.
E sì, perché quello andato in scena ieri non è l’accordo tra due forze politiche, ma l’intesa tra due gruppi di potere. La differenza è enorme perché gli accordi tra forze politiche sono trasparenti: si sa chi li propone, si sa chi li approva, si sa quali sono i limiti dell’intesa e il programma che si persegue. L’intesa tra gruppi di potere, invece, deve per sua natura mantenere celati scopi e obiettivi, oltre che, ovviamente, i contraenti.
Non si tratta di moralismo peloso: in politica ci può stare che due partiti siano costretti a convivere. Vale a Roma e vale anche in Calabria, anche se qui i numeri non giustificano l’alleanza con il Nuovo centrodestra. I calabresi avevano consegnato al Pd e a Mario Oliverio una maggioranza così schiacciante da poter fare a meno di qualsiasi interessata stampella. Ma, se proprio si vuole fare un accordo con Ncd, perché non farlo alla luce del sole, sapere chi lo propone, portarlo alla ratifica degli organi di partito, notificarlo ai consiglieri e ottenerne il consenso?
Niente di tutto questo: si scelgono cinque consiglieri fidati e li si incarica di votare per inquinare gli equilibri della minoranza e fare in modo che la matematica, che in democrazia dovrebbe essere sovrana, venga sovvertita dall’accordo di potere.
Di questo si tratta. Infatti a creare il vulnus non sono i tre voti dati dall’Ncd a Tonino Scalzo. Questo può anche starci, posto che si trattava solo di economizzare una seduta consiliare e atteso che la maggioranza in seconda convocazione non avrebbe avuto problemi a eleggere Scalzo. Sono i cinque voti espressi dal Pd a favore di Pino Gentile la pietra dello scandalo e la testimonianza che un accordo clandestino c’è stato e solo in futuro ne scopriremo i contorni e gli effetti.
Intendiamoci, la verticale spaccatura dentro Forza Italia ha contribuito, ma anche quella sa molto di operazione politica in salsa cosentina e in ogni caso era una ragione in più perché il Pd restasse fuori dalle beghe di una opposizione lacerata e divisa e andasse per la sua strada a realizzare il programma promesso ai calabresi.
Invece siamo qui a interrogarci, anche in questa legislatura, in quale luogo le decisioni vengono prese e chi, e in cambio di cosa, si fa garante di accordi che tornano a essere tra uomini e non tra partiti.
A Renzi l’asse bersanian-dalemian-cuperliano fa le pulci per molto meno. Gli rimprovera accordi e patti che, quantomeno, sono stati assunti alla luce del sole e nella sede ufficiale del partito e poi sottoposti all’approvazione della direzione nazionale e della segreteria e infine portati al dibattito e al giudizio degli stessi gruppi di Camera e Senato.
In Calabria, invece, cinque consiglieri ricevono (da chi?) l’incarico di votare per condizionare la scelta del rappresentante dell’opposizione nell’Ufficio di presidenza. Subito dopo, altri undici membri della “maggioranza” votano per il candidato a questore di Forza Italia che prenderà una mezza dozzina di voti in più del candidato ufficiale della “maggioranza”. E guai se gli chiedi conto.
A Palazzo Chigi hanno ragione: «La Calabria – ripetono – è sempre un’altra cosa. Lì si è diversamente renziani e, nella stessa misura, anche diversamente cuperliani».

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