L’industria non è possibile: troppo difficile, il turismo non riesce a decollare, e non solo per la crisi. E l’agricoltura? Il discorso è altrettanto lungo, ma volendo seguire i consigli di chi se ne intende, probabilmente, si riesce a non fare la fine di quanti esportano in Russia – prodotti agroalimentari – e poi, grazie a Putin, rimangono con le pive nel sacco. Anzi peggio. Gli industriali agricoli del Nord hanno spedito merce per oltre 50 milioni di euro senza essere stati pagati perché per fare un dispetto, all’Occidente, il governo russo ha fatto chiudere i supermercati. E qui da noi? Tutto andrebbe per il meglio se si riuscisse a vendere il prodotto per rifarsi delle spese sostenute. Quest’anno ho avuto la ventura di andare tutti i giorni nel mio agrumeto, con la scusa di raccogliere le rose e ho visto che il mio amico e collaboratore irrigava a più non posso, dopo aver disinfettato, potato, zappato, coperto le piante con medicine speciali, concimato alla meglio. E mi sono detto che pena. Una pena dovuta, a parte il piacere di raccogliere le rose – un piacere immenso portare a casa rose rosse, gialle, rosa – mi sono fatto due conti. Costi incredibilmente cari: soprattutto la disinfestazione ma, ancor di più, l’energia elettrica.
Se a giugno ho pagato poco meno di cinquecento euro, quanto dovrò pagare per luglio, agosto e settembre per mantenere la discreta carica di clementine? E soprattutto troverò un commerciante disponibile a farmi rientrare nelle spese? Con ‘sta crisi!? E intanto che fai? Non coltivi? Abbandoni tutto al sole dell’estate che brucia tutto e all’acqua e al gelo dell’inverno? Un peccato enorme. E che sei stato costretto a fare? Chiudere gli occhi e dire: speriamo in bene e speriamo che il buon Dio ci dia una mano. L’Enel per esempio non potrebbe ridurre i costi dell’energia elettrica, visto che di cooperative di materiale agrumicolo non si riesce a metterne su, perché dopo sei mesi falliscono per il nostro egoismo?
Visto che tutto passa per l’Europa, Renzi lo ripete a ogni piè sospinto, non si potrebbero finalizzare, in parte, i fondi, affidando il tutto agli esperti, al finanziamento e al miglioramento delle aziende agricole calabresi? Non per mille e pochi euro a ogni ettaro? Ma per dimezzare, almeno, le spese degli agricoltori? Fulvia Caligiuri, che presiede la Confagricoltura di Cosenza, dopo aver rilevato che abbiamo avuto otto ministri dell’Agricoltura in quattro anni, si è chiesta come si riesce a programmare, se le persone che decidono cambiano così spesso. Eppure – ha sostenuto Pietro Molinari, presidente di Coldiretti – abbiamo prodotti a denominazione di origine e geografica protette, vini d’origine controllata, specialità tradizionali censite dal ministero. Un’altra considerazione che ha fatto Caligiuri, giustamente, è quella relativa alle condizioni di partenza degli agricoltori di ogni singolo Stato membro dell’Europa. Cosa è venuto fuori? Che in Italia abbiamo il costo del gasolio più alto del 15%, i bidoni di olio del 30% e, infine, sempre lo stesso punto dolente, il costo del danaro dalle banche più alto d’Europa o quasi. C’è chi, anche in Calabria, è finito nei paesi dell’Est perché aveva aziende manifatturiere o industriali e così ha potuto risparmiare su tutto. Un agricoltore come fa a trasferire la terra? Diventa Nembo Kid o si affida a un mago che ti fa chiudere gli occhi e ti fa trovare con casa e bottega in Romania? E qui? Rimane il deserto?
Si comprano arance, pomodori, frutta e verdura dalla Spagna, dalla Tunisia, dal Marocco? In questa direzione stiamo andando da qualche anno: basta guardare le etichette di provenienza delle merci vendute dai nostri supermercati. Vietnam, Cambogia addirittura. Quando Prodi lanciò a Crotone il mercato della Cina non furono molti a credergli. E poi perché in Spagna, quasi in casa nostra, si è chiesta la presidente Caligiuri il concime costa di meno che in Italia? Perché da noi non nascono i gruppi di acquisto, si è chiesta. Per lo stesso motivo per il quale negli anni 60-70 c’erano le cooperative e adesso non ci sono più.
Fulvia Caligiuri, poi, se l’è presa coi consorzi di bonifica che, a suo dire, mandano cartelle di riscossione di per servizi che non hanno mai fornito. E ha portato il caso di aziende di Acri e Bisignano che hanno ricevuto cartelle esattoriali quando non hanno mai portato l’acqua o fatto opere di bonifica. Non si dovevano rimodulare questi benedetti Consorzi, alcuni davvero meritori? A parte il fatto che, da queste parti, i Consorzi erano diventati uffici di collocamento – quando si poteva – e vi lavoravano parenti e amici. E poi perché tutti i Consorzi della Lombardia – si è chiesta Fulvia Caligiuri – hanno meno dipendenti di uno solo degli undici consorzi che ci sono in provincia di Cosenza.
Insomma, all’agricoltura bisogna dare, altrimenti, è assai difficile che tu possa racimolare le spese. E a dare deve essere sia il proprietario, ma essenzialmente chi, per legge, è chiamato a svolgere il ruolo di “propulsore” dei prodotti della terra, senza i quali è assolutamente impossibile che la Calabria vada avanti, nell’interesse delle famiglie calabresi. Ma si sa, da noi, già a giugno, negli autogrill, non trovi più una spremuta d’arancia, tranne che nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio. Devi bere il succo, che sa di nulla, confezionato al Nord o all’estero. E le nostre arance finiscono al macero o le vendi, se le vendi a dieci centesimi al chilo. Anche a sette, come nel mio caso.
*giornalista
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