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"Piccolo carro", la Procura generale: «Confermare le condanne»

REGGIO CALABRIA Conferma di tutte le condanne disposte in primo grado: è questa la richiesta della Procura generale di Reggio per gli imputati del procedimento “Piccolo carro”, che vede alla sbarra…

Pubblicato il: 09/01/2015 – 16:58
"Piccolo carro", la Procura generale: «Confermare le condanne»

REGGIO CALABRIA Conferma di tutte le condanne disposte in primo grado: è questa la richiesta della Procura generale di Reggio per gli imputati del procedimento “Piccolo carro”, che vede alla sbarra l’ex commercialista e amministratore di beni confiscati, Giovanni Zumbo, pizzicato a soffiare ai clan informazioni riservatissime su indagini in corso, per questo condannato a 16 anni e otto mesi di reclusione, il boss Giovanni Ficara, punito con 11 anni e 6 mesi e Domenico Demetrio Praticò, che in prima istanza ha rimediato 15 anni e otto mesi di carcere.
Una richiesta che conferma in pieno l’impianto accusatorio costruito in primo grado dal pm Giovanni Musarò e già in prima istanza accolto dal Tribunale. Ex “antenna” dei servizi, con un passato da assistente alle dipendenze dell’ex assessore al Personale e oggi sottosegretario della giunta regionale Alberto Sarra, Zumbo è stato incastrato dagli investigatori per il ritrovamento di un falso arsenale il giorno della visita del presidente Napolitano a Reggio Calabria. Fu lui infatti a far ritrovare l’auto, una Fiat Marea tanto carica di armi ed esplosivi da sembrare un arsenale, con una telefonata. Una farsa, secondo gli inquirenti, che – nei piani di Zumbo e di chi come una pedina lo guidava – avrebbe dovuto rivelarsi utile per accreditarsi quale fonte affidabile presso Procura e magistrati. Un piano ben studiato cui hanno collaborato anche i due coimputati della talpa, Demetrio Domenico Praticò e il capo dell’omonimo clan, Giovanni Ficara, ma di cui ancora rimangono da chiarire le finalità strategiche di lungo periodo. Nonostante il procedimento sia approdato indenne in secondo grado, gli interrogativi che l’indagine sulla talpa ha sollevato e che allo stato – come lo stesso Musarò aveva sottolineato in sede di requisitoria – rimangono insoluti.
Intercettato in casa del mammasantissima Peppe Pelle, è lo stesso Zumbo a presentarsi, spendendo una credenziale importante: la sua appartenenza ai servizi segreti, con i quali – sostiene – ha rapporti più che radicati. «Ho fatto parte di… e faccio parte tuttora di un sistema che è molto, molto più vasto di quello che (…) – racconta Zumbo, presentandosi a don Peppe Pelle – ma vi dico una cosa e ve la dico in tutta onestà: sunnu i peggio porcarusi du mundu (sono gli schifosi peggiori al mondo, ndr) e io che mi sento una persona onesta, e sono onesto, e so di essere onesto… molte volte mi trovo a sentire… a dovere fare… non a fare a fare, perché non me lo possono imporre, ma a sentire determinate porcherie che a me mi viene il freddo!».
Cosa abbia detto o fatto Zumbo e per conto di chi non è dato sapere, tanto meno per quale motivo i servizi segreti militari (Sismi prima, Aise poi) abbiano sentito la necessità di avere una propria base a Reggio Calabria. Ma stando a quello che l’ex amministratore di beni confiscati raccontava al boss della jonica, mentre le microspie dei Ros registravano, a trattare con lui non c’erano solo i terminali locali delle agenzie di informazione, ma «sono scese persone… pezzi grossi da Roma! Sono venuti in giacca e cravatta».
Chiamati a rispondere a processo, gli allora responsabili delle agenzie di informazioni in città – Corrado D’Antoni, numero due di quel Marco Mancini di recente condannato a nove anni di reclusione per lo scandalo Abu Omar e che Zumbo sostiene di aver più volte incontrato – si sono trincerati dietro il segreto di Stato o risposte omissive e contraddittorie, in seguito smentite da altri uomini dello Stato.
Rimane dunque ancora tutto da investigare e da chiarire l’interrogativo che i giudici hanno messo nero su bianco nel decreto di fermo: «Come Zumbo, professionista stimato, accreditato presso gli uffici giudiziari e di polizia e le agenzie di sicurezza, abbia avuto la possibilità, per un prolungato periodo di tempo e con apparente totale facilità, di conoscere nel dettaglio le più importanti e delicate indagini dell’Arma dei carabinieri; abbia poi coltivato un intenso rapporto con un esponente di rilievo delle cosche di ‘ndrangheta come Ficara Giovanni mettendosi a sua disposizione senza (apparentemente) nulla chiedere in cambio e presentandosi come collaboratore esterno dei servizi segreti?».

 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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