di Paolo Pollichieni
Chissà se a Mario Oliverio piace leggere belle storie e chissà se riesce anche a capire che ogni tanto dovrebbe smetterla di imitare Renzi nella politica degli annunci e applicarsi con maggiore umiltà all’osservazione delle cose che gli stano intorno. Belle e brutte che siano. Nel dubbio una storia proviamo a raccontargliela: circa un anno fa Diego Fasano, un produttore di software di 41 anni, stava guidando la sua Smart e ascoltava la radio. Raccontavano la vicenda di un impiegato che si licenzia e va in Brasile a prendere foto aeree della foresta amazzonica. Fasano frenò di colpo. Aveva avuto un’idea. La sua azienda, la Connexxa, è nata nel Duemila in una periferia di Catanzaro e da allora è cresciuta fino a fatturare 4,5 milioni l’anno. Nascosti in un open space accanto a un gommista, sopra una palestra abbandonata, i programmatori della Connexxa sviluppano soprattutto due tipi di innovazione. Producono e vendono in Italia e all’estero software medicali, per esempio cartelle mediche digitali consultabili da un iPad. E sempre più spesso, specie di recente, creano sistemi di vigilanza. Grazie a un programma della Connexxa, le porte delle torri di controllo degli aeroporti di Malpensa e Linate si aprono automaticamente se riconoscono l’iride di un occhio registrata in precedenza. A Salerno, le telecamere della Connexxa sorvegliano aree dove la camorra potrebbe versare rifiuti industriali: sono collegate a un software che analizza miliardi di dati dalle immagini e manda un segnale alle forze dell’ordine non appena nota movimenti anomali.
Ora la storia del fotografo italiano in Amazzonia aveva ispirato Fasano a compiere un altro esperimento: montare quei sistemi di sorveglianza su un drone. Guidato dal software, la telecamera a bordo, un piccolo drone cubico largo 50 centimetri può seguire un’auto a 300 metri dal suolo, può controllare una curva di hooligans durante una partita di calcio, trovare un disperso sotto le macerie percependo il calore del corpo con dei raggi infrarossi.
Le riprese rimbalzano su un iPad o su Google Glass. Fasano ha trovato una piccola società di Ravenna, una Srl a un euro per neulaureati di quelle rese possibili dal governo di Mario Monti. Hanno lavorato un po’ insieme e a giugno hanno presentato un prototipo a una fiera internazionale di Londra. In seguito Fasano vola a Toronto per allearsi con un’azienda che vuole distribuire il drone in tutto il Nord America e a luglio ha già concluso accordi simili in Pakistan e Messico. Ma non intende spostare i suoi circa dieci programmatori da Catanzaro. E non solo per affetto verso la città d’origine. «Penso anche che per trovare da qualche altra parte dei neolaureati così bravi a scrivere codice informatico – confessa Fasano – dovrei pagarli molto di più. E altre aziende cercherebbero di portarmeli via».
La disoccupazione giovanile in Italia supera il 42% e in Calabria è intorno al 65%, quasi un record mondiale. Numeri come questi sono anche il risultato di un sistema che non riesce più a produrre merci povere in ricerca e tecnologia a costi competitivi. Il prezzo di un giocattolo o di un pigiama sarà sempre più basso se sono fatti in Cina. Ma la Connexxa e decine di altre imprese innovative simili rivelano però un altro lato della stessa medaglia: dopo anni di crisi, disoccupazione ed erosione dei salari d’ingresso nel primo lavoro, in Italia si possono produrre beni ad alto contenuto d’intelligenza a costi molto competitivi. Un bravo informatico neolaureato di Catanzaro, Roma o Cagliari potenzialmente non vale meno di uno di Palo Alto, Boston o Londra; eppure, malgrado tasse e contributi sempre elevati, costa un terzo o la metà. Silenziosamente, lontano dalle polemiche di Confindustria, sindacati e governo, centinaia di giovani ingegneri e imprenditori lo hanno capito e su questo stanno costruendo una nuova stagione di innovazione del made in Italy. Qualcosa comincia a muoversi, insomma. Anche in Calabria, ma lo fa quasi a dispetto del sistema istituzionale di sviluppo delle attività produttive. Non è così altrove: si stanno diffondendo centinaia di startup tecnologiche nei distretti più insospettabili. Il più celebre è H-Farm, l’incubatore di aziende nei pressi di Treviso che si sta rivelando un’esperienza mista di successi e sconfitte.
A Cagliari un piccolo distretto di startup si è aggregato intorno a gruppi affermati come Mutui Online e Dove Conviene, un motore di ricerca di negozi sul web. A Latina, al quarto piano sopra un centro commerciale ai margini della città. Si stima che gli “incubatori” di startup in Italia a questo punto sono almeno 25 (un incubatore è uno spazio che aggrega imprese tecnologiche in fase di lancio o crescita iniziale).
E in Calabria? In questa regione aspettiamo che qualcuno, finita la fase degli annunci, dia segnali concreti e detti la linea al sistema delle università e a quello delle finanziarie pubbliche; indichi l’urgenza di realizzare una rete ad alta capacità nelle fibre ottiche e razionalizzi il sistema dei servizi alle nuove imprese. Insomma aspettiamo che qualcuno aiuti a scriverle le belle storie.
x
x