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Inefficienze della giustizia? Tutta colpa della politica

REGGIO CALABRIA «Se la giustizia in Italia non funziona è perché c’è una precisa volontà politica che le cose vadano in questo senso». È un bilancio duro, amaro, forse in parte sofferto quello che …

Pubblicato il: 12/01/2015 – 23:58
Inefficienze della giustizia? Tutta colpa della politica

REGGIO CALABRIA «Se la giustizia in Italia non funziona è perché c’è una precisa volontà politica che le cose vadano in questo senso». È un bilancio duro, amaro, forse in parte sofferto quello che l’ex procuratore capo di Napoli, Giandomenico Lepore traccia della giustizia italiana nel libro “Chiamatela pure giustizia (se vi pare)” scritto a quattro mani con il giornalista Nico Pirozzi e presentato oggi a Reggio Calabria. Un libro con cui i due autori hanno voluto – dice Pirozzi – «spiegare in poche battute perché la giustizia non funziona; perché anche giudici e pm sono vittime di un sistema che fa acqua da tutte le parti; perché per il cittadino è più conveniente vivere nella legalità che non al di fuori di essa; perché bisogna credere nello Stato e nella giustizia». Una scommessa non facile ma che il giornalista e lo storico procuratore di Napoli sembrano aver vinto anche se il bilancio finale di certo non è roseo, perché «se è vero che c’è la luce in fondo al tunnel, sembra ancora molto distante», commenta Lepore. Cinquant’anni con la toga sulle spalle, durante i quali ha coordinato indagini sulla vecchia e nuova camorra napoletana come su Calciopoli, sulla P4 come sui falsi invalidi, sugli appalti al Comune di Napoli come sulle escort a disposizione del potere politico, Mimì – così lo chiama affettuosamente Federico Cafiero de Reho, oggi a capo della Procura a Reggio, ma che non ha dimenticato i tempi in cui Lepore era il “suo” procuratore – pur non nascondendo i problemi, le inefficienze, come pure le esasperanti lungaggini del pianeta giustizia, non esita a puntare il dito su quella politica che nonostante i più volte annunciati intenti di “riforma” è responsabile di quelle inefficienze oggi lamentate dai magistrati, come ieri lo facevano pretori e giudici istruttori. «Ogni nuovo Governo parla di riforma della giustizia per poi pentirsene dopo – dice l’ex procuratore – E questo fa comodo a tutti: al politico, al malavitoso, al cittadino ma in uno Stato democratico non può non funzionare la giustizia. Dobbiamo cambiare e questo cambiamento può avvenire solo se si superano gli interessi personali e lasciamo stare quelli che dicono di fare il bene collettivo perché così non è. Da sempre, i politici hanno fatto il bene del partito altro che collettivo». Il tono è allegro e spigliato, qualche espressione in napoletano verace che fa sorridere la sala e rende ancor più chiari i concetti, ma il bilancio «senza censure e omissioni» del procuratore pur non essendo pessimista, di certo non è roseo: «la maggiore preoccupazione della politica sembra essere quella di mettere i bastoni tra le ruote della giustizia, con la complicità di leggi inefficaci e contraddittorie». Leggi che ad esempio – spiega il procuratore capo della Dda reggina Federico Cafiero De Raho – hanno fatto sì che in Italia venisse a mancare la certezza della pena. «Bisogna lavorare perché in Italia esista davvero la certezza che delinquere non conviene, perché la sanzione c’è ed è dura. Ma spesso i processi che vengono celebrati sono tanti che succede che non per tutti arrivi una pena efficace, anche in caso di reati odiosi». Per Cafiero De Raho è dunque necessario iniziare a ragionare «per capire in quale direzione bisogna operare per dare efficienza al sistema giustizia e sarebbe riduttivo pensare di intervenire solo sulla situazione del magistrato. Probabilmente, è il meccanismo processuale che va rivisto e bisogna incidere sulla prescrizione. Pensare che solo dopo 8, 10 anni si arrivi ad un nulla di fatto, dopo che tante energie sono state spese e che una sentenza di primo grado è stata già emessa, è un controsenso». Un paradosso che deriva anche da un sistema incapace di assicurare dei “canali privilegiati” in caso di fatti gravissimi. Per l’ingiuria e l’estorsione – spiega ad esempio Cafiero De Raho – «il codice prevede l’utilizzo degli stessi uomini e mezzi, degli stessi canali, della stessa sede giudiziaria. Non c’è gerarchia nell’ambito dell’intervento giudiziario, né è stata fatta alcuna riforma per assicurarla». Il problema del pianeta giustizia non sta dunque nei suoi operatori per il numero uno della procura reggina, ma «è un problema di sistema su cui si deve intervenire, ma che si sta affrontando nel modo sbagliato». Non sarà infatti – aggiunge il procuratore Cafiero De Raho – la minacciata introduzione della responsabilità civile per i giudici a risolvere il problema, al contrario «rischia di essere solo una pesante forma di condizionamento. Il magistrato è tenuto ad applicare la legge, ma la legge per sua natura si interpreta». La chiave del lavoro del pm – spiega De Raho – sta proprio nella valutazione degli elementi a carico di un singolo soggetto, tali da configurare l’esistenza o meno di una condotta criminale. Proprio per questo, la spada di Damocle della responsabilità civile renderebbe sempre più difficile perseguire i reati più odiosi e pericolosi, così come più difficili da dimostrare come l’appartenenza di un soggetto a un’organizzazione segreta o mafiosa. «L’opposizione dell’associazione nazionale magistrati all’introduzione della responsabilità civile non è a tutela della categoria, ma del cittadino – conclude il capo della procura reggina – Il magistrato deve avere la possibilità di applicare la legge senza sentirsi condizionato o estorto».

 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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