CATANZARO Mette d’accordo tutti il nome di Vincenzo Luberto. Così la Commissione incarichi direttivi del Consiglio superiore della magistratura lo indica, con voti unanimi, al Plenum per la promozione alla carica di procuratore aggiunto presso la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro.
Vincenzo Luberto andrà così a ricoprire l’incarico lasciato libero da Giuseppe Borrelli dopo il suo trasferimento alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Una scelta, quella del Csm, che segna anche un recupero della professionalità espressa dalla magistratura catanzarese. Luberto, infatti, ha lavorato prima alla Procura di Cosenza e poi alla Dda di Catanzaro. Lo ha fatto esponendosi a rischi notevoli, come da ultimo testimoniato dal progetto messo in campo dalla cosca Abbruzzese, dell’Alto Jonio cosentino, con l’obiettivo di attentare alla vita del magistrato che tanta attenzione stava dedicando alle loro attività criminali. Nel 2011, infatti, 12 presunti affiliati alla cosca sono stati arrestati proprio mentre erano, secondo quanto certificato da quelle indagini, pronti per l’attentato.
Non era una novità, per Luberto, che aveva già subito minacce e intimidazioni. Nel 2007 qualcuno è entrato nel garage di casa e gli ha rubato l’auto danneggiando tutto ciò che ha trovato e imbrattando le mura con scritte minacciose. Nel 2009 la casa del magistrato è stata visitata da ladri dalle abitudini singolari: portarono via i gioielli della moglie ma una serie di altri “dettagli” fece subito scartare l’ipotesi di un semplice furto.
Grazie al suo impegno, dal 2010 in poi, erano stati inferti colpi mortali al clan dei rom Abbruzzese, il più feroce della provincia cosentina, con l’arresto del capo latitante Nicolino e con la condanna all’ergastolo del capocrimine, il fratello Francesco Abbruzzese, nelle tre diverse inchieste sul clan: “Lauro”, “Sibaris” e “Timpone Rosso”. Fu a corollario di tali inchieste che i killer del clan avevano preso a pedinare il pm e ne avevano studiato abitudini e orari.
pa. po.
x
x