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Crollo PalaCalafiore, tutti rinviati a giudizio

REGGIO CALABRIA Fatta eccezione per la società Italstage, che ha evitato il processo chiedendo il patteggiamento della sanzione amministrativa, dovranno tutti affrontare in giudizio l’accusa di omi…

Pubblicato il: 13/01/2015 – 16:43
Crollo PalaCalafiore, tutti rinviati a giudizio

REGGIO CALABRIA Fatta eccezione per la società Italstage, che ha evitato il processo chiedendo il patteggiamento della sanzione amministrativa, dovranno tutti affrontare in giudizio l’accusa di omicidio colposo e crollo di costruzione gli imputati del procedimento aperto dalla procura dopo la morte di Matteo Armellini, giovane operaio travolto dal cedimento del palco in allestimento al PalaCalafiore di Reggio Calabria per il concerto della nota cantante Laura Pausini. Il prossimo 26 febbraio dovranno dunque presentarsi di fronte ai giudici del Tribunale di Reggio Calabria, il dirigente comunale Marcello Cammera, attuale responsabile del Settore Lavori Pubblici, Sandro Scalise, Franco Faggiotto, Pasquale Aumenta, Ferdinando Salzano, Maurizio Senese e Marcello Cammera, tutti accusati di omicidio colposo, come pure per Gianfranco Perri, coordinatore della progettazione nominato dalla Sm Musica, estensore del piano di sicurezza. Passa dunque il vaglio del gup di Reggio Calabria l’impianto accusatorio costruito dal pm Ferracane, che all’esito di innumerevoli perizie, studi e valutazioni tecniche, ha stabilito che il tragico incidente in cui ha perso la vita Armellini – stritolato dalle pesanti colonne metalliche che gli sono crollate addosso quando la struttura aerea che sovrastava il palco è crollata sulle gradinate – si deve a omissioni, imperizie e mancati controlli. Colpevoli mancanze contestate in primo luogo alla F & P Group Srl, committente esclusiva dei lavori di allestimento del palco, materialmente affidati alla Italstage. Per il pm entrambe le società, avrebbero dovuto rispondere sia come persona giuridica, sia nelle persone dei legali rappresentanti, ma la Italstage, assistita dall’avvocato Marco Panella, ha deciso di evitare il dibattimento chiedendo il patteggiamento della sanzione amministrativa, fissata in settamila euro. Discorso diverso per il suo patron, Pasquale Aumenta, che si dovrà presentare davanti ai giudici perché la sua società avrebbe proceduto con «negligenza, imprudenza, ed imperizia» alla costruzione del palco, ma soprattutto in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni. Insieme a lui, dovranno dunque rispondere in sede penale delle mancanze loro attribuite, sia la F & P Group, sia il suo legale rappresentante, Ferdinando Salzano, accusato di aver proceduto alla nomina di un direttore dei lavori che non avrebbe – si legge nella richiesta di rinvio a giudizio – «da un lato rilevato i gravi errori e le evidenti omissioni presenti nell’elaborato redatto dall’ingegnere Franco Faggiotto, dall’altro lato vigilato sulla corretta esecuzione dell’opera». Anche Faggiotto sarebbe autore di una progettazione errata e carente, perché «non teneva in considerazione la possibile presenza di forze orizzontali accidentali, l’eccessiva deformabilità della struttura metallica, non prevedeva che i piedi della struttura fossero zavorrati con blocchi di calcestruzzo, non teneva in considerazione la forte deformabilità elastica del piano di posa». Ma di fronte ai giudici dovrà presentarsi anche il patron della Esse Emme Musica che aveva organizzato il concerto, Maurizio Senese, e il coordinatore della sicurezza per l’esecuzione dei lavori di costruzione della struttura che la società, come committente dell’intero evento aveva nominato, Sandro Scalise. Delicata infine la posizione di Cammera, all’epoca dirigente comunale responsabile del settore progettazione ed esecuzione dei Lavori Pubblici, che per la Procura avrebbe omesso di «adottare un provvedimento di inibizione all’inizio dei lavori di costruzione della struttura metallica all’interno del palazzetto, dopo la consegna dell’impianto, di immediata sospensione dei medesimi lavori, non segnalando inoltre il pericolo grave e imminente di un crollo (poi avvenuto) della costruenda struttura metallica ai soggetti a vario titolo nell’organizzazione e realizzazione dell’evento musicale e/o alle autorità amministrative competenti».

 

LA LETTERA DELLA MADRE
A quasi tre anni dalla tragica morte di Matteo Armellini, quelli che la Procura ritiene responsabili dell’incidente che gli è costato la vita dovranno affrontare il giudizio. Un processo che forse in parte esaudisce la richiesta di giustizia che oltre un anno fa, Paola Armellini, la madre di Matteo, aveva rivolto al presidente della Repubblica. «Ogni anno – si leggeva nella missiva inviata dalla donna a Giorgio Napolitano – in Italia muoiono più di mille lavoratori, purtroppo non sempre per fatalità, bensì troppo spesso a causa di superficialità, quando non di negligenza. Matteo è una delle vittime di questa mancanza di responsabilità; aveva solo trent’anni e ha pagato con la vita il suo diritto al lavoro». Un diritto, scriveva la madre del ragazzo, garantito dalla Costituzione, ma «credo dunque sia lecito e doveroso chiedersi come questo diritto, peraltro non sempre rispettato, possa escludere perfino la sicurezza sul lavoro». Una richiesta che già in precedenza Paola Armellini aveva avanzato, in seguito alle polemiche esplose per il misero risarcimento di meno di duemila euro che l’Inail aveva liquidato alla famiglia per la morte del ragazzo. «Quei soldi – aveva dichiarato la madre – sono stati dati come risarcimento per infortunio e malattia professionale: esigo spiegazioni, è un problema di rispetto e di dignità. Matteo non aveva ancora cominciato il suo turno, gli è crollato tutto addosso. Va rivisto il modo in viene gestito il lavoro di questi ragazzi». A mandare su tutte le furie la donna non era stata «l’elemosina» ricevuta dall’istituto previdenziale, ma la causale con cui era stata versata. «Vorrei una spiegazione – aveva dichiarato all’epoca Paola Armellini – non tanto per i 1.936,80 euro, ma perché mio figlio è morto sotto un palco e nell’oggetto del pagamento c’è scritto “risarcimento per infortunio e malattia professionale”. È un problema di rispetto, di dignità, Matteo non aveva ancora cominciato a lavorare, gli è caduta in testa tutta la struttura. Non voglio, non ci sto che la morte di mio figlio venga liquidata così». Parole dure, cui il direttore generale dell’Inail, Giuseppe Lucibello, ha di fatto risposto allargando le braccia e ammettendo che «la retribuzione molto bassa del ragazzo non consente di immaginare risarcimenti consistenti».

 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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