Bevuto il primo amaro calice, ecco che a Mario Oliverio si cerca di farne trangugiare subito un altro. Vediamo di essere più chiari: il primo amaro calice è rappresentato dall’accordo (o inciucio o come preferite chiamarlo) con i fratelli Gentile, dominus del Nuovo centrodestra in Calabria e azionisti di riferimento dell’Ncd romano. Oliverio ha dovuto accettare uno scambio di voti che ha rimesso in pista, eleggendolo vicepresidente del consiglio regionale, il più affabile dei Gentile. Il secondo amaro calice è in arrivo e si sta rivelando, per quanto possa apparire impossibile, peggiore del primo: Oliverio deve sacrificare un posto della sua già ridotta squadra di governo per ospitare in giunta Maria Carmela Lanzetta.
Proprio lei, la ministra degli Affari regionali che fin qui ha brillato per assenze ministeriali e presenze ambientali con una sequenza di gaffe, istituzionali e no, capace di far impallidire anche il senatore Razzi. Il premier, Matteo Renzi, non la vuole più nel suo governo e ha incaricato Graziano Delrio di convincerla alle dimissioni. Ovviamente l’ex sindaco di Monasterace, che prima fece un libro di denuncia contro la ‘ndrangheta che la minacciava e poi, intervistata dal Corriere della Sera, ha negato di aver mai tirato in ballo la ‘ndrangheta, di dimettersi non ne ha la benché minima idea. E siccome sa tirar fuori gli artigli, quando serve, agli emissari di Renzi ha ricordato che nessun ministro può essere allontanato dal dicastero senza la sua volontà, citando in proposito il caso dell’ex Guardasigilli Filippo Mancuso, rimasto al suo posto anche dopo che Berlusconi aveva cambiato idea e non lo voleva più nel governo.
Ovviamente alla luce di questo nuovo motivo di conflitto tra Oliverio e gli assetti romani, ha una spiegazione anche l’acuirsi in questi giorni di un autentico tiro al piccione contro chiunque, più o meno a ragione, può far parte della squadra di governo che Mario Oliverio intende mettere in campo.
Ad esempio, è facile comprendere l’improvvisa riscoperta di un “caso De Gaetano” che esplode esattamente sei anni dopo le elezioni nel corso delle quali De Gaetano avrebbe ottenuto appoggi da parte della famiglia Tegano di Archi. Una vicenda resa ancor più singolare dal fatto che arriva alla ribalta solo dopo che i principali protagonisti sono fuori gioco e in pista ci resta solo De Gaetano. Il suocero di quest’ultimo, infatti, era il medico dei Tegano, filmato e pedinato dalla polizia mentre raccoglieva voti per il genero. Peccato che da vivo non gli venne contestato alcunché e le carte vengono tirate fuori oggi che invece è deceduto da tempo.
L’altro protagonista, o meglio “ex”, è Peppe Scopelliti, che oggi è fuori dalla politica o almeno dalla rappresentanza istituzionale. Sotto accusa, infatti, era finito il voto disgiunto a mezzo del quale molti elettori reggini avevano ritenuto di preferire come consigliere regionale Nino De Gaetano, all’epoca esponente di Rifondazione comunista, e come governatore Peppe Scopelliti, proveniente da Alleanza nazionale. Insomma, quando tutti i protagonisti dell’indagine erano vivi e operativi l’indagine non si fece, sei anni dopo, quando di operativo c’è solo Nino De Gaetano, ecco che l’indagine emerge in tutta la sua virulenza.
Conviene che Mario Oliverio, in attesa di decidere se continuare a mandar giù calici amari oppure no, dia un’accelerata alle sue scelte, altrimenti ogni povero cristo sfiorato dal sospetto di poter essere chiamato a far parte della sua giunta regionale, diventerà bersaglio mobile per interessi e tiratori… mobilissimi.
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