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Omicidio Lanzino, i Ris: quel campione di terra poteva essere analizzato all'epoca

COSENZA «E’ la prima volta che la tecnica utilizzata ha consentito di isolare, dopo quasi 27 anni, liquido seminale da un campione di terra. Almeno nella letteratura scientifica non ci risulta un c…

Pubblicato il: 21/01/2015 – 17:31
Omicidio Lanzino, i Ris: quel campione di terra poteva essere analizzato all'epoca

COSENZA «E’ la prima volta che la tecnica utilizzata ha consentito di isolare, dopo quasi 27 anni, liquido seminale da un campione di terra. Almeno nella letteratura scientifica non ci risulta un caso simile. Abbiamo risolto un duplice omicidio a Catania con la stessa tecnica, ma lì erano passati cinque anni. Non escludiamo poi fare una pubblicazione a processo concluso». Il caso di Roberta Lanzino potrebbe fare scuola. Il maggiore Carlo Romano, comandante della sezione Biologia del Ris di Messina e il collega, il maresciallo Giovanni Marcì si sono concessi solo qualche minuto con i giornalisti al termine di una delicata e complessa udienza del processo Lanzino. I militari del Ris, questa mattina nell’aula della Corte d’Assise di Cosenza, hanno riferito in modo dettagliato e preciso il contenuto della perizia, che avevano depositato nei giorni scorsi e che potrebbe rappresentare la svolta per identificare l’assassino della giovane studentessa di Rende, violentata e uccisa il 26 luglio del 1988. Per quel brutale assassinio è imputato Franco Sansone, accusato di aver violentato e ammazzato Roberta assieme a Luigi Carbone, vittima di lupara bianca. Per l’omicidio di Carbone sono accusati, invece, Alfredo Sansone e il figlio Remo, rispettivamente padre e fratello di Franco.
I Ris erano stati incaricati dalla presidente del collegio giudicante, Maria Antonia Gallo, di esaminare il materiale relativo al delitto. Dopo mesi di accurate indagini, sono riusciti a isolare del liquido seminale da un campione di terriccio, prelevato sotto la testa di Roberta Lanzino, nel luogo dell’omicidio. Quando i militari del Reparto scientifico hanno analizzato, con la tecnica della luce a lunghezza d’onda variabile, il terriccio rinvenuto sotto il cadavere della ragazza, hanno individuato tracce con caratteristiche cromatiche assimilabili a sangue. In particolare sono stati rinvenuti aloni di colore brunastro a livello di alcune pietre più grossolane e sulla superficie di due foglie di ulivo. Queste tracce hanno dato esito positivo. «Gli accertamenti biomolecolari sul campione “T5” – mette nero su bianco il Ris nella relazione depositata – hanno consentito di estrapolare un profilo genotipico caratterizzato dal contributo biologico di più individui di cui uno almeno di sesso maschile e almeno uno di sesso femminile. In tale assetto genotipico è possibile distinguere tutti gli alleli che caratterizzano il profilo di Roberta Lanzino che rappresenta, peraltro, il contributore biologico maggioritario di tale mistura. Detto profilo genotipico può dunque essere utilizzato per finalità comparative». Il maggiore Romano e il maresciallo Marcì hanno spiegato in aula tutto quello che sono riusciti a sapere dallo studio di quei reperti. Esito negativo è emerso dalle analisi sul motorino “Piaggio Sì” di Roberta, sul braccialetto e su altri frammenti di organi.

 

I RIS IN AULA
«Abbiamo suddiviso il braccialetto in otto campioni – hanno riferito in aula i carabinieri del Ris –, ma anche qui non c’era nulla. Avevamo a disposizione frammenti di organi di Roberta e abbiamo posto attenzione sul frammento di utero. Abbiamo proceduto a estrarre il Dna ottenendo come profilo solo quello della vittima». Si sono poi soffermati sul sacchetto di terra: «Poco più di pugno prelevato nel luogo in cui si trovava la testa di Roberta, che da un lato non era mai stato aperto. Quel campione non è mai stato preso in considerazione – forse – perché non ritenuto utile ai fini investigativi. Sicuramente, all’epoca – ha aggiunto il maggiore Romano – le tecniche a disposizione erano diverse, ma comunque poteva essere esaminato. Invece, non è stato mai preso in considerazione. In effetti si tratta di analisi complesse perché la terra ha di per sé un substrato che contiene diversi fattori degradanti. Ma dal momento che l’omicidio è avvenuto d’estate il terreno era secco e ha conservato il liquido seminale. Se quel terriccio fosse stato umido ci sarebbero stati più problemi in sede di analisi. Nei nostri laboratori abbiamo disteso il terriccio su un foglio di carta sterile in modo da poter avere dei quadranti da sottoporre a esame. Dallo studio del sangue rinvenuto nel campione di terra è emerso che si è trattato di sangue umano. In sintesi in quel campione c’è il Dna di Roberta, contenuto nel sangue, e quello di un profilo maschile, contenuto nel liquido seminale. Mancava il fazzoletto contenuto nel plico 5 o 6 e repertato sul ciglio della scena del crimine e non c’era neanche il coltello».

 

IL RIS: QUEL CAMPIONE POTEVA ESSERE ANALIZZATO ALL’EPOCA
«Gli esami sul campione di terra – ha detto in aula il maggiore Romano – potevano essere fatti sin da allora. Quello che ci rammarica è che questa vicenda forse si sarebbe potuta risolvere in pochi giorni, laddove l’istituto di Medicina legale di Bari aveva individuato spermatozoi nei tamponi vaginali. Ma non vennero fatti perché quell’Istituto non aveva gli strumenti adatti. Sono stati commessi degli errori. I tamponi portati in Inghilterra non vennero mai analizzati perché fu detto di non analizzarli da un ufficiale del Cis, oggi Ris, di Roma. Nei laboratori dell’istituto di “Tor Vergata” provarono, poi, a estrarne un’aliquota e si arrivò al Dna, ma vennero portati a Genova – assieme ai vestiti di Roberta – e lì nel trasferimento in altra sede vennero persi».
Dopo la relazione del Ris, l’avvocato Enzo Belvedere, legale di Franco Sansone, ha depositato alla Corte una consulenza redatta dal professore Pascali relativa all’esame del Dna sull’imputato. E fuori dall’aula della Corte d’Assise la difesa ha fatto sapere che quell’esame è negativo. Cioè – a detta dell’avvocato facendo riferimento alla sua perizia – quel Dna isolato nel campione di terra non è compatibile con quello di Franco Sansone.
Ma in udienza – che ha richiesto anche una pausa per rasserenare gli animi tra Corte, accusa, difesa e parti civili – il tribunale ha deciso di proseguire gradualmente con la comparazione del Dna, prelevando la saliva da Franco Sansone e poi dai parenti di Luigi Carbone, vittima di lupara bianca. Anzi, l’avvocato Belvedere ha riferito la disponibilità di Franco Sansone a sottoporsi all’esame, senza rispettare i canonici tre giorni di preavviso. Così nel primo pomeriggio i militari del Ris si sono recati nell’abitazione dell’imputato – che ha problemi di deambulazione – a Cerisano e hanno seguito il prelievo. Adesso, secondo quanto stabilito dalla Corte in accordo con le parti, nella prossima udienza – fissata per il 4 febbraio – dovranno comparire in aula i genitori di Carbone e i suoi due figli maschi per sottoporsi all’esame del Dna. Qualora non fossero consenzienti il giudice ne potrebbe disporre l’accompagnamento coatto. L’avvocato Sergio Calabrese, legale della famiglia Carbone, ha chiesto di poter avere il tempo di avvisarli. Al termine di questi esami il Ris analizzerà sia il Dna di Franco Sansone che quello di Carbone e poi riferirà l’esito in un’unica relazione, secondo quanto ha chiesto e ottenuto l’avvocato Ornella Nucci, legale della famiglia Lanzino assieme all’avvocato Marina Pasqua.
Ad assistere all’udienza – come sempre – il papà di Roberta.

 

Mirella Molinaro

m.molinaro@corrierecal.it

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