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Clan e Chiesa

E i vescovi calabresi intervengono di nuovo sulla ‘ndrangheta continuando a dire la loro parola. Una parola con la quale la Conferenza episcopale ha inteso fare chiarezza sulla missione della Chies…

Pubblicato il: 22/01/2015 – 16:28

E i vescovi calabresi intervengono di nuovo sulla ‘ndrangheta continuando a dire la loro parola. Una parola con la quale la Conferenza episcopale ha inteso fare chiarezza sulla missione della Chiesa calabrese e sulla sua posizione rispetto al fenomeno ‘ndranghetistico. Una parola (tredici pagine) di ferma condanna del crimine mafioso, definito l’antistato, l’antivangelo, l’antireligione. «Una struttura pubblica di peccato perché stritola i suoi figli». Nella nota pastorale vengono esaminati alcuni degli avvenimenti degli ultimi nove mesi che in Calabria si sono caratterizzati per processioni religiose “macchiate” dagli inchini ai boss. Avvenimenti che sono stati oggetto di ampi dibattiti, sia a livello nazionale che regionale, sul ruolo e le responsabilità della Chiesa.
Rispetto a ciò, le diocesi calabresi avranno un nuovo strumento che i vescovi hanno chiamato “Direttorio” con principi e linee guida a cui attenersi, con le norme che guideranno la vita di tutti i giorni. Evidentemente si terrà conto delle particolarità dei singoli territori in cui operano determinate diocesi. Insomma, «un parroco non può esser lasciato solo», ha sostanzialmente detto monsignor Salvatore Nunnari, presidente della conferenza episcopale. Per questo saranno date alle parrocchie delle regole da rispettare, con l’obbligo – per restare al tema degli “inchini” – di avvisare tre giorni prima delle processioni le forze dell’ordine sul percorso da fare nelle rispettive comunità. È stata definita da padre Nunnari, «subdola la presenza nelle processioni degli uomini della ’ndrangheta che cercano nella Chiesa considerazione, sostenendo di essere cattolici e di amare la Bibbia».
Il loro intento è, consapevolmente, quello di creare confusione, secondo il presidente della Conferenza episcopale calabrese. È del tutto evidente, secondo il presule, che il compito di individuare la presenza di portatori che appartengono alla criminalità organizzata, «spetta alle forze dell’ordine e alla magistratura perché un vescovo non fa il giudice». Per questo, nella nota pastorale è stato ricordato che la «missione della Chiesa non sempre può coincidere con l’azione inquirente propria dello Stato». C’è, evidentemente, la necessaria collaborazione tra Chiesa e magistratura, seguendo le dinamiche proprie dell’una e dell’altra.
Certo, è stato evidenziato nel documento, nessun ministro di Dio può tradire il segreto confessionale, anche a costo della vita. In relazione ai rapporti tra sacerdoti e ‘ndrangheta «non sono mancate irresponsabili connivenze di pochi, nonché silenzi omertosi». Ed è qui che la Chiesa ha sbagliato, ha ammesso monsignor Nunnari, per questo chiediamo perdono. Un aspetto, questo della connivenza, sul quale si è soffermato il vescovo di Oppido-Palmi, Francesco Milito, che ha respinto l’idea di rapporti frequenti tra Chiesa e ‘ndrangheta. A suo parere, questi rapporti sono riconducibili a défaillance che appartengono a pochi singoli, mentre esistono altissime testimonianze – sempre secondo Milito – di uomini della Chiesa vittime, spesso nel silenzio generale, di pesanti intimidazioni. Nel documento pastorale non poteva mancare il riferimento all’omelia di Papa Francesco nella spianata di Cassano allo Jonio. Per questo i vescovi delle diocesi calabresi hanno parlato degli uomini della ’ndrangheta come «espressione di stili di vita, comportamenti e azioni, oggettivamente inconciliabili con il messaggio evangelico».
Da ciò deriva che «il mafioso, se non dimostra autentico pentimento, o volontà di uscire da una situazione di peccato, non può essere assolto sacramentalmente nel rito della Confessione, né può accedere alla Comunione eucaristica, men che meno può rivestire uffici o compiti all’interno della comunità ecclesiale». «Vorremmo che iniziasse, comunque, una stagione nuova della nostra storia, mettendo nel campo della vita dei calabresi i semi per il rifiorire della legalità, dell’onestà, dell’altruismo, del rispetto e, perfino, dell’amore fraterno». Questo è stato l’auspicio di monsignor Nunnari. La Conferenza episcopale ha respinto la tendenza a scagliare la pietra contro la Chiesa. Questo – è stato sottolineato – è profondamente ingiusto perché «dovremmo stare tutti dalla stessa parte, alla ricerca del bene comune. I conflitti tra istituzioni non servono di fronte ai mali della nostra terra: dalla disoccupazione al vuoto di certezze e di fiducia; dalla corruzione diffusa alla politica spesso distante dai bisogni della gente; dalle insidie che si profilano all’orizzonte per il diffondersi della cultura del relativismo alla tragedia della ‘ndrangheta».
Espressioni di apprezzamento e di condivisione sono venute da più parti sulla presa di posizione della Chiesa calabrese contro il fenomeno criminale. «È una scelta religiosa che non potrà non riverberarsi su tutta la società civile e le rappresentanze sociali, sulle istituzioni locali e dello Stato». È stato questo il parere della segreteria regionale della Cgil. Pure la politica, attraverso il deputato Ernesto Magorno, segretario regionale del Pd, ha parlato di prese di posizione nette che segnano una condanna definitiva di ogni “zona grigia” e della distorta religiosità di cui sono ammantate le organizzazioni criminali. E sempre di monito verso tutta la classe politica calabrese, ha parlato il consigliere regionale del Pd Mimmo Battaglia, sostenendo la necessità di rilanciare i valori della legalità, della trasparenza, del bene comune e del buon governo. A questo punto la politica, nel suo complesso, e la Regione devono fare la loro parte. Oliverio si è detto fortemente impegnato e c’è da credergli.

*giornalista

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