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La nuova "realtà" di Pasolini

COSENZA Prevista per oggi pomeriggio, al Teatro Auditorium Unical del campus di Arcavacata, l’inaugurazione dell’installazione che nasce dal laboratorio “Michelangelo Frammartino presenta P.P.P.”, …

Pubblicato il: 23/01/2015 – 12:41
La nuova "realtà" di Pasolini

COSENZA Prevista per oggi pomeriggio, al Teatro Auditorium Unical del campus di Arcavacata, l’inaugurazione dell’installazione che nasce dal laboratorio “Michelangelo Frammartino presenta P.P.P.”, tenuto dallo stesso regista di origini calabresi e dall’artista multimediale Marco Pucci con gli studenti.
Il titolo del progetto, che ha impegnato i partecipanti al corso dal 19 gennaio, è frutto dell’attinenza che c’è tra le iniziali del nome di Pasolini “P.P.P.”, e il “primissimo Piano” nel linguaggio cinematografico l’inquadratura più ravvicinata del volto umano. Il film preso come oggetto di studio è stato “La ricotta”, che Pasolini realizzò nel 1963. Il palco del teatro è stato ricostruito come fosse un “luogo sacro”. A destra e a sinistra della scena ci sono le due famosissime crocifissioni che Pasolini, nel film, tenta di riprodurre sotto forma di tableaux vivant: quella del Pontormo e di Rosso Fiorentino. Al centro una pala d’altare completamente nera. La dimensione di dialogo con lo spazio è unione tra architettura, cinema e arti visive, in cui la disposizioni delle pale d’altare creano la sacralità di una “pianta-croce”.
Marco Pucci insegna “Nuove tecnologie dell’arte” all’accademia di belle arti di Milano. È stato assistente di Paolo Rosa di “Studio Azzurro”.
Cos’è la “realtà aumentata”?
«La “realtà aumentata” è una realtà virtuale che appare quando il dispositivo inquadra un marker visivo. Nel nostro caso quando lo smartphone inquadra una figura della pala, un primissimo piano, parte un video che è visibile solo nel display del dispositivo».
Per vederlo uno spettatore cosa dovrebbe fare?
«Si deve scaricare una semplice app, che si chiama “Aurasma”, il programma che noi stiamo utilizzando per sviluppare la “realtà aumentata”, cercare il canale della mostra e, a quel punto, si deve divertire a inquadrare. È una mostra interattiva, sei tu che navighi e cerchi di scoprire gli elementi che abbiamo inserito all’interno del dipinto. In questo caso noi abbiamo aggiunto del materiale video e abbiamo inserito solo la voce di Pasolini. Un gioco che può risultare molto suggestivo perché, se tanti dispositivi contemporaneamente inquadrassero la stessa pala d’altare, si avrebbe l’effetto eco come all’interno di una cattedrale».
Il lavoro con gli studenti come è stato strutturato?
«Una prima lezione è stata fatta sulla storia della “realtà aumentata”. Il secondo giorno abbiamo fatto un workshop pratico, quindi hanno dovuto portare i loro tablet, smartphone e computer e abbiamo fatto una lezione su come si programma una “realtà aumentata”. Forse è una l’unica lezione in cui lo studente deve accendere il telefono durante le lezioni, altrimenti viene bocciato».
Michelangelo Frammartino, Pasolini si affidava, nella ricostruzione scenica dei propri film, alle figure pittoriche. Come mai lei ha scelto di lavorare su “La ricotta”?
«Il tema del workshop che aveva dato il corso di laurea in Dams era lavorare su Pasolini. C’è un rapporto affettivo con questo lavoro. I film di Pasolini che da ragazzo avevo amato erano “La ricotta” e “Cosa sono le nuvole?”. Siccome nella ricotta c’è un amore immenso per la storia dell’arte, abbiamo pensato di andare in quella direzione e di farlo, però, con degli strumenti un po’ diversi, attraverso la “realtà aumentata”. Nel film c’è Orson Welles, che è un regista piuttosto presuntuoso, che prova a riprodurre queste pale d’altare, quella del Pontormo e quella di Rosso Fiorentino e ne fa due tableaux vivant, ma che non riescono, falliscono in maniera un po’ grottesca: crollano, le comparse ridono in maniera sguaiata e quindi probabilmente quello che ci vuole dire Pasolini, ma che dirà anche al processo per difendersi dalle accuse di vilipendio, è: “Non sto deridendo la religione. Quello che dico è che quella sacralità noi non siamo più in grado di riprodurla”. Però accade che la vera passione sarà la vicenda sullo sfondo vissuta da Stracci, che nel film rappresenta uno degli elementi che vive ai margini della società e che morirà, sulla croce, per indigestione dopo essere stato deriso dai suoi stessi colleghi attori. Cosa accade con questa “realtà” che sta piano piano prendendo forma? Se un fruitore punta e prova a riprodurre i dipinti dei due pittori, in realtà vedrà Pasolini. Come a dire che i nostri occhi del presente – perché gli smartphone sono i nostri occhi del presente – non ce la fanno a riprodurre la sacralità, cosi come successe nel 1963. Ma abbiamo un terzo livello, un’altra pala d’altare nera, vuota, in cui ci sarà solo il titolo dell’opera che sarà “P.P.P.”, che ovviamente sono le iniziali di Pier Paolo Pasolini, però significa anche “primissimo piano”. Quando si punta questa tela nera che si vedrà già dall’ingresso in sala, si sentirà la voce di Pasolini che legge una sua poesia “Io sono una forza del passato”, la stessa recitata da Welles nel film. Se nel 1963 c’era ancora un’aura di sacralità, adesso non c’è più. Quindi quando si punta questa pala che avrebbe potuto essere la crocifissione di Stracci, noi non vediamo più nulla, ma abbiamo un grado zero dell’immagine che è la sua voce. Pasolini resta, a distanza di tanti anni dalla sua morte, una forte coscienza».

 

Miriam Guinea

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