REGGIO CALABRIA «Difenderò la mia innocenza fino alla Cassazione». Non ci sta l’ex consigliere regionale Pasquale Tripodi alla condanna di un anno, con pena sospesa, per indebite erogazioni rimediata ieri in Corte d’appello. Una decisione che ha ribaltato il giudizio di primo grado, dove il politico era stato assolto dall’accusa di aver indicato una falsa residenza per ottenere una quota maggiore di rimborsi e per questo trascinato in giudizio per truffa. Nonostante i giudici abbiano derubricato l’accusa di truffa inizialmente contestata, la condanna per il più lieve reato di indebite erogazioni non sta bene al politico, assistito dall’avvocato Emanuele Genovese, che è determinato a difendere la correttezza del proprio operato anche di fronte alla Suprema corte.
Per la procura prima e il pg Alberto Cianferini poi, Tripodi avrebbe dichiarato di essere residente a Messina e non a Reggio Calabria per ottenere una quota più alta dei già consistenti rimborsi previsti nel “contratto di lavoro” dei rappresentanti dei cittadini a Palazzo Campanella. Originario di Montebello Jonico, Tripodi – per l’accusa – avrebbe mantenuto per anni la propria residenza oltre lo Stretto, pur vivendo e svolgendo la propria attività a Reggio, per avere accesso a una quota di rimborsi chilometrici doppia rispetto a quella che teoricamente gli sarebbe spettata. Un’impostazione parzialmente modificata dai giudici della Corte d’appello, che nel condannare il politico hanno escluso il dolo della truffa, affermando di fatto che Tripodi, fra il 2 luglio del 2007 e il 3 dicembre del 2008, avrebbe percepito indebiti rimborsi, ma non intenzionalmente perché, pur mantenendo la residenza a Messina, avrebbe correttamente informato Palazzo Campanella di essere domiciliato a Pellaro. Circostanze che però non hanno salvato l’ex consigliere regionale dalla condanna, come dalla procedura di recupero crediti che adesso interesserà le somme indebitamente percepite.
Alessia Candito
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