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Il "disgusto" è di scena a Cosenza

COSENZA Quando si entra in platea lei è già lì. Nuda, nella penombra delle luci del proscenio, siede di spalle su di un grande sgabello di legno che, per le sue dimensioni, ricorda quello che …

Pubblicato il: 26/01/2015 – 11:49
Il "disgusto" è di scena a Cosenza

COSENZA Quando si entra in platea lei è già lì. Nuda, nella penombra delle luci del proscenio, siede di spalle su di un grande sgabello di legno che, per le sue dimensioni, ricorda quello che si usa al circo. Aspetta che l’ultimo spettatore prenda posto. Nel frattempo, canticchia fra i denti una canzone che risulta familiare all’orecchio di chi riesce a sentirla: “Fratelli d’Italia” “colonna sonora”dello spettacolo e trama dello stesso. Il regista ha voluto fare una dedica ai 150 anni dell’unità d’Italia. Silvia Gallerano entra così ne “La merda” di Cristian Ceresoli, spettacolo andato in scena ieri sera al “Teatro dell’Acquario di Cosenza.
“La merda – decalogo di un disgusto” è una tragedia in tre tempi: Le Cosce, Il Cazzo, La Fama e un controtempo: L’Italia. Sul palco è nuda, vestita della sola voce che non è la sua, ma la modula, come fosse una ragazzina di tredici anni, con mugugni, tremolii e lamenti. Sembra sempre sul punto di piangere, perché quella stessa voce dimostra l’insicurezza di chi è cresciuta col trauma di un padre morto suicida sotto i binari di un treno e di chi cerca, con tenacia, di farsi spazio nel mondo dello spettacolo come attrice. Tutto pare da lì: un provino per uno spot televisivo. La vita di una ragazza come tante altre, che rivive la sua crescita a partire dai primi ricordi col padre, che la portava all’acquario e le faceva «cantare l’inno la domenica al posto di andare a Messa» reciterà dallo sgabello. Lo spettacolo è diviso in quattro scene, scandite dal buoi del palco.
Racconta la sua storia, le audizioni, l’ipotetico successo che da ciò ne consegue e, infine, l’“Unità d’italia”. Col microfono in mano, questa piccola e forte performer, inchioda lo spettatore alla propria poltrona colpendolo alla pancia mentre diventa se stessa e tutti gli altri: il padre idealista e amante dei «piccoli fondatori con la camicia rossa», la madre che le ricorda «C’hai un problema nella testa», la dottoressa che le mette gli elettrodi nelle cosce per tentare di snellirle, l’assistente del regista, il regista, il bambino handicappato che da adolescente le ha fatto avere le sue prime esperienze sessuali e poi, le altre “voci”, quelle della sua mente che, paranoica, immagina derisione per quel corpo piccolo, con le gambe troppo grosse per sfondare nell mondo dello show business.
Silvia Gallarano e Cristian Ceresoli uniscono le tante voci all’autoironia, ai traumi generazionali, ai rapporti con gli uomini che in lei vedono solo una donna la cui misericordia è confusa con la disponibilità, le crisi dei valori, i traumi vissuti da adolescente e la voglia di riscatto, di riuscire, di trovare spazio in quella stessa società che di lei ha fatto una vittima di bulimia, anoressia, scherno e oggetto, perché in una realtà fallocentrica la “sottomissione” apre più porte della meritocrazia. Alza la voce contro tutta la merda che la collettività le propina. L’unica soluzione è ripulirsi grazie agli escrementi che purificano il corpo umano. La merda è metafora del volersi affrancare; è tutto ciò da cui ci si dovrebbe ripulire o meglio, di cui non si vorrebbe l’assunzione. La denuncia che Gallarano e Ceresoli fanno è quel genocidio culturale di cui parlava Pasolini, visione senza tempo della sociatà dei consumi alla quale si era (e si è) fin troppo abituati.

Miriam Guinea

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