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Reggono le accuse contro il clan Iamonte

REGGIO CALABRIA Ventiquattro assoluzioni oltre alle tredici chieste dalla pubblica accusa, pene dimezzate rispetto alle richieste ma sostanziale tenuta del principale capo di imputazione, secondo c…

Pubblicato il: 27/01/2015 – 22:17
Reggono le accuse contro il clan Iamonte

REGGIO CALABRIA Ventiquattro assoluzioni oltre alle tredici chieste dalla pubblica accusa, pene dimezzate rispetto alle richieste ma sostanziale tenuta del principale capo di imputazione, secondo cui il clan Iamonte è attivo e domina Melito Porto Salvo. È una sentenza che di fatto conferma l’impianto accusatorio costruito dai pm Antonio De Bernardo e Luca Miceli quella emessa in serata dal gup di Reggio Calabria Antonio Laganà a conclusione del primo grado con rito abbreviato del procedimento “Ada-Sipario-Replica”, la maxinchiesta, eseguita in tre diverse tranche, che in poco più di un anno ha messo in ginocchio lo storico clan di Melito Porto Salvo.

Melito sotto scacco del clan Iamonte
Un paese relativamente piccolo, ma esponenzialmente importante a livello criminale. Incastrato fra la periferia sud di Reggio Calabria e la grande provincia jonica, negli anni – hanno svelato le indagini – Melito è stato un fondamentale locale cerniera fra il mandamento centro e quello jonico, fra le istanze e le pretese della città e quelle della provincia. Un locale e un paese su cui i Iamonte avevano il dominio assoluto, controllandone ogni aspetto: dalla politica all’economia, dagli equilibri e spartizioni criminali, alla gestione delle attività ludiche e sociali, tutto era sotto il controllo del clan. Non a caso, oggi a rispondere a vario titolo delle accuse di associazione mafiosa, tentata estorsione, danneggiamenti, detenzione di armi, concorrenza illecita, detenzione e traffico di stupefacenti, c’erano novanta persone, da soggetti considerati al vertice del clan a fiancheggiatori, da essenziali colletti bianchi al soldo del clan a semplici gregari e galoppini. 

La pena più alta a un imprenditore
Stando a quanto emerso dall’inchiesta e oggi viene confermato dalla sentenza, grazie alla connivenza degli amministratori locali – tutti a processo con rito ordinario – e il supporto di imprenditori, i Iamonte hanno non solo condizionato il regolare svolgimento delle gare d’appalto bandite dai comuni del basso Jonio, ma sono riusciti a monopolizzare le attività imprenditoriali nel settore edilizio, sia pubblico che privato. Proprio ad un imprenditore, condannato come affiliato, al clan va la pena più alta fra quelle inflitte dal gup Antonio Laganà. Dovrà scontare infatti 12 anni di carcere Giovanni Tripodi, patron della Fravesa ma per gli inquirenti soprattutto braccio destro e principale interfaccia economica della cosca di Melito Porto Salvo. Per gli inquirenti, la Fra.Ve.Sa. srl è «al vertice del cartello di imprese che si spartiscono la quasi totalità degli appalti pubblici banditi nel comprensorio del comune di Melito Porto Salvo e di quelli limitrofi», tanto che «anche i privati, che devono edificare o ristrutturare un immobile, debbono necessariamente fare riferimento a Tripodi Giovanni che decide a quale impresa affidare l’incarico, pena il divenire bersaglio di rappresaglie, danneggiamenti, furti in cantiere».

Condannati gli esponenti del clan
Ma pene severe sono arrivate anche degli uomini del clan Iamonte finiti alla sbarra nel procedimento. Dieci anni, 4 mesi e 20 giorni vanno a Carmelo Iamonte, mentre è di 6 anni la pena inflitta a Natale e Francesco Iamonte classe 1980. Va meglio al suo omonimo nato nell’83, che per il gup dovrà scontare 4 anni e 3 mesi e pagare tremila euro di multa, mentre è di 3 anni la condanna inflitta a Remingo Iamonte. Un risultato raggiunto anche grazie alle preziose rivelazioni del pentito Giuseppe Ambrogio (classe 1982), riconosciuto come attendibile dal giudice, che proprio per questo gli ha concesso i benefici previsti dalla collaborazione, condannandolo solo a 3 anni e 4 mesi.

 

Ma arrivano anche molte assoluzioni
Nonostante i preziosi elementi messi insieme dall’accusa, a causa di un cautelare sfavorevole e di una serie di pronunce della Cassazione che da una parte hanno derubricato i reati legati alla detenzione e spaccio di droghe leggere, dall’altra reso molto più complesso provare il reinvestimento di danaro di provenienza illecita, cadono sotto la mannaia della prescrizione molti dei reati per i quali l’aggravante mafiosa non ha tenuto. E se per trentasette, tredici dei quali su richiesta della pubblica accusa, questo ha significato l’assoluzione del reato loro contestato, per molti ha comportato un sostanziale sconto di pena rispetto alle richieste avanzate dai pm De Bernardo e Miceli. Per decisione del gup, sono assolti da tutte le accuse loro contestate Giuseppe Ambrogio (classe 1985), Domenico Caridi, Antonino D’Andrea, Antonio Salvatore Ferrara, Domenico Gullì, Francesco Macheda, Vincenzo Malaspina, Fortunato Minniti, Angelo Nocera, Alberto Pizzichemi, Maria Polsina Ripepi, Saverio Rodà, Antonio Rosaci, Quinto Antonio Rosaci, Santoro Rosaci, Pietro Rosato, Vito Sarcinelli, Domenico Salvatore Sergi, Antonino Sgrò, Antonino Stelitano, Demetrio Tripodi, Filippo Tripodi, Francesco Tripodi, Bartolo Verduci (classe 86) e Francesco Verduci. A loro, si aggiungono i tredici – Giuseppe Attinà, Pietro Barilla, Fabio Candiloro, Antonino Familiari, Domenico Favasuli, Fortunato Minniti, Maria Minniti, Fabio Nucera, Giovanni Mario Pangallo, Vincenzo Romeo, Luigi Scappatura, Carmelo Gianluca Serranò e Vincenzo Venturini – per i quali la stessa procura aveva chiesto l’assoluzione oggi concessa dal gup. Articolate invece le condanne, che vanno dai 12 anni inflitti all’imprenditore Tripodi ai “soli” dodici mesi rimediati da Antonino Francesco Laganà.

Le condanne
Ambrogio Giuseppe, classe 1982: 3 anni e 4 mesi
Amodeo Paolo: 6 anni
Benedetto Carmelo: 3 anni e 2 mesi e 4.000 euro di multa
Benedetto Fortunato Giovanni: 6 anni e 6 mesi
Borchiero Alessio: 1 anno e 6 mesi e 3000 euro di multa
Borruto Giovanni: 7 anni e 4 mesi
Calarco Domenico Salvatore: 6 anni e 2 mesi
Cannizzaro Luca Bruno: 3 anni e 15 mila euro di multa
Cento Francesco: 6 anni e 8 mesi
Costarella Andrea Domenico: 7 anni e 4 mesi
Crea Umberto: 1 anno e 5 mesi e 4mila euro di multa
Ferrara Adriano Valentino: 2 anni e 9 mesi
Ferrara Antonio: 2 anni e 4 mesi
Ferrara Pasquale: 1 anno e 4 mesi e 3mila euro di multa
Flachi Pietro: 9 anni
Fontana Filippo: 9 anni
Fosso Francesco: 8 anni e 6 mesi
Foti Francesco Martino: 1 anno e 6 mesi e 4400 euro di multa
Foti Giovanni: 6 anni e 6 mesi
Guerrera Giuseppe: 8 anni
Gullì Giovanni: 9 anni
Iamonte Carmelo: 10 anni 4 mesi e 20 giorni
Iamonte Francesco, classe 1980: 6 anni
Iamonte Francesco, classe 1973: 4 anni e 3 mesi e 6 mila euro di multa;
Iamonte Natale: 6 anni
Iamonte Remingo: 3 anni
Iaria Davide: 2 anni e 8 mesi e 2mila euro di multa
Iaria Giuseppe Romeo: 6 anni e 6 mesi
Laganà Antonino Francesco: 1 anno e mille euro
Laganà Carmelo: 6 anni
La Pietra Emanuele Domenico: 4 anni e 6 mesi
Leone Francesco: 7 anni
Malaspina Consolato: 6 anni e 10 giorni
Marino Giovanni: 4 anni e 6 mesi
Mazzeri Antonio: 7 anni e 4 mesi
Meduri Antonio: 8 anni
Meduri Consolato: 6 anni e 6 mesi
Minniti Angelo: 7 anni e 6 mesi
Minniti Giovanni: 7 anni
Minniti Salvatore: 9 anni
Nicolò Loris Francesco: 3 anni e 20 giorni
Nucera Domenico: 1 anno e 8 mesi e 4.400 euro di multa;
Pangallo Francesco: 3 anni e 6 mesi
Pangallo Maurizio: 4 anni e 6 mesi
Tripodi Antonino: 9 anni
Tripodi Giovanni, classe 1971: 12 anni
Tripodi Giovanni, classe 1979: 6 anni e 6 mesi
Tripodi Giovanni, classe 1982: 6 anni
Tripodi Venerando: non doversi procedere per morte del reo
Verduci Bartolo: 6 anni e 6 mesi
Verduci Gaetano: 8 anni
Verduci Pietro: 6 anni

 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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