REGGIO CALABRIA «Non si tratta di colonizzazione, ma di delocalizzazione degli interessi e degli uomini di un locale, che si sono posti come interlocutori e si sono fatti apprezzare dalla gente che conta in Emilia». Il sostituto procuratore della Dna, Roberto Pennisi, applicato dalla procura nazionale antimafia al coordinamento della maxi-indagine che solo a Reggio Emilia ha portato all’arresto di oltre 160 persone, non ha dubbi. I cutresi, con i loro soldi disponibili sull’unghia e pacchetti di centinaia di voti da mettere a disposizione di chi non si attarda troppo a chiederne la provenienza, in Emilia sono diventati interlocutori necessari. Per questo hanno potuto mettere le mani su piccoli e grandi appalti, nei più diversi settori, dall’agroalimentare all’edilizia, ma soprattutto su quelli della ricostruzione post terremoto. Una grande tragedia che per il clan diventa un grande business.
GLI APPALTI DELLA RICOSTRUZIONE
Ci sono edifici da abbattere, scuole da puntellare, quelle temporanee da ricostruire. E la ‘ndrangheta dei cutresi è riuscita a farlo. Il cavallo di troia delle ‘ndrine – emerge dalle indagini – si chiama Bianchini costruzioni, il cui patron Augusto Bianchini non solo “girava” alle ditte delle ‘ndrine gli appalti per lo smaltimento delle macerie, stoccate illecitamente, e di ricostruzione degli edifici, delegava a un uomo dei clan, Michele Bolognino, il reclutamento degli operai, scelti immancabilmente dalle ditte di imprenditori calabresi trapiantati al nord, come il pagamento delle maestranze, retribuite grazie a un sistema di false fatturazioni che avrebbe aiutato il clan a pulire un’enorme quantità di denaro.
GIOVANARDI L’ALFIERE
E quando le interdittive antimafia hanno bloccato la ditta del patron Augusto Bianchini, ci ha pensato il figlio – nel giro di poco a capo di una nuova azienda – a continuare a macinare appalti commesse – poi girati ai calabresi – grazie a funzionari compiacenti. Nel frattempo, il patron Bianchini trovava nel senatore Carlo Giovanardi, un alfiere della propria battaglia contro quel provvedimento che escludeva l’impresa da lavori e white list, vietandole anche la partecipazione agli appalti di Expo cui puntava. In difesa della Bianchini, Giovanardi non solo attaccherà il prefetto e il Girer, il gruppo investigativo sul dopo sisma, ma presenterà anche interrogazioni parlamentari e richieste al ministero dell’Interno contro chi «cerca di uccidere l’economia emiliana».
OBIETTIVO VERONA
Ma dalla base reggiana, il clan del boss Nicolino Grande Aracri, non si limitava a espandere il proprio dominio in Emilia. Anche a Verona, i cutresi avevano messo radici grazie all’industriale Moreno Nicolis, che aveva introdotto Antonio Gualtieri, braccio destro imprenditoriale del boss, negli ambienti che contano. È il 2012 e i due stanno progettando un affare insieme. Imprenditore del ferro, ma con interessi anche nell’edilizia e – scrive il gip – «ottimi rapporti con l’amministrazione scaligera», Nicolis punta ad acquisire la vasta area Tiberghien, derivante dal fallimento della Rizzi Costruzioni. Anche Gualtieri, su mandato del boss Nicolino “Manuzza” Grande Aracri è interessato all’operazione.
A PRANZO CON TOSI
Per questo, l’imprenditore veneto e il manager del clan cutrese si troveranno a un pranzo con pezzi da novanta dell’amministrazione cittadina come il sindaco leghista, Flavio Tosi, e il suo ex numero due, Vito Giacino, poi caduto per corruzione. Circostanze che lo stesso Gualtieri commenta al telefono con un sodale, cui dice con soddisfazione «Mi sono incontrato con il sindaco e il vice sindaco di Verona, con Tosi e coso, e ancora stanno mangiando, lì da Moreno, sotto in taverna. Moreno me l’ha portato là, me l’ha fatto conoscere … è sempre buono avere delle amicizie», riferisce con soddisfazione Gualtieri a un sodale. Ma a confermare quell’incontro sarà anche la consulente finanziaria e ex consulente del Banco Emiliano finita in manette Roberta Tattini, che dopo aver presenziato a quel pranzo «con Tosi ed altra gente» chiama la madre dicendole di aver trattato «l’affare della vita».
NUOVI OBIETTIVI, VECCHI METODI
Ma quel giorno a Verona, il manager del clan non si limiterà a fare pubbliche relazioni con gli amministratori locali. Gli investigatori registreranno infatti anche la visita – non proprio di cortesia – che l’uomo del boss Grande Aracri farà al curatore fallimentare dell’area cui era interessato, l’avvocato Emanuela Rotando. «Emerge – scrivono al riguardo i giudici – il limpido tentativo di corruzione del curatore al quale è stato presumibilmente promesso un ingente corrispettivo in cambio dell’assegnazione pilotata del fallimento». Un’ipotesi confermata sempre dalla Tattini che ascoltata dagli investigatori spiega: «Non è vero che il curatore non sapeva niente… una parte gliel’hanno già data, e una parte gli spetta».
LO SCIVOLONE DI DELRIO
Bastone e carota, soldi sottobanco e minacce, metodi noti per le ‘ndrine a ogni latitudine, a Cutro come in Emilia o a Verona. Come identico è il canale politico utilizzato dal clan per accaparrarsi commesse e appalti. Non a caso, sono tanti gli amministratori di ogni ordine e grado finiti fra le pagine dell’inchiesta Aemila. Ci è inciampato, pur non essendo indagato, l’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio, che in passato, da sindaco di Reggio Emilia aveva promosso quel curioso gemellaggio con Cutro, di cui i pm gli hanno chiesto conto. Ai magistrati, interessava in particolare comprendere come mai nel corso della sua visita nel paese calabrese, avesse partecipato alla processione del Santissimo crocefisso – appuntamento dall’altissimo valore simbolico per i Grande Aracri – proprio in periodo elettorale, non solo insieme ad altri candidati sindaci, ma anche a soggetti come Antonio Olivo, consigliere comunale dem non indagato, ma considerato in ambienti investigativi vicino ad alcuni uomini di Nicolino Grande Aracri. Non è indagata, ma gli atti che ha firmato sono oggi al vaglio attento degli inquirenti Maria Sergio, ex dirigente del settore urbanistica del Comune di Reggio Emilia e moglie dell’attuale sindaco democratico Luca Vecchi, sospettata di aver agevolato alcune imprese vicine ai clan.
POLITICI IN MANETTE
Non solo sotto indagine, ma anche in manette con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa sono finiti invece Giuseppe Pagliani di Forza Italia, arrestato, l’altro è Giovanni Bernini, che in passato è stato il consigliere dell’ex ministro Pietro Lunardi. È proprio quest’ultimo l’uomo su cui le cosche punteranno alle amministrative del 2007 a Parma. Ex presidente del Consiglio Comunale di Parma e uomo forte del centrodestra, è lui – secondo quanto emerge dall’inchiesta – a contattare gli uomini del clan per procurarsi preferenze, in cambio di denaro ma soprattutto della promessa di agevolazioni amministrative, come quel certificato di cittadinanza italiana presso il comune di Parma, che su richiesta procurerà a Romolo Villirillo, elemento di vertice dei cutresi in Emilia. Ma a quella tornata elettorale non sarà il solo ad ottenere il favore dei clan. “Zio” Gino FRIJIO – grande vecchio dei cutresi in Emilia – su richiesta di Villirillo da il visto buono all’endorsement di Bernini ma ordina anche «dobbiamo dare una mano anche a loro»: il futuro sindaco Luigi Villani e Paolo Buzzi.
ELEZIONI INQUINATE
Nel 2012, la ‘ndrangheta invece cambia schieramento, sente aria di vittoria in casa del centrosinistra, per questo – secondo gli investigatori – punta su Pierpaolo Scarpino del Pd, ma la vittoria dei Cinque stelle scompaginerà i piani dei clan, che con astio commenteranno «hanno vinto i comici». Ma l’infezione della ‘ndrangheta nelle competizioni elet
torali non risparmia neanche i comuni più piccoli. I cutresi cureranno le sorti dei propri candidati a Campegine nel 2012, a Sala Baganza nel 2011, a Brescello nel 2009 e nel 2006 a Salsomaggiore Terme.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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