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L'«epilogo» della “Campanella”

CATANZARO Si è improvvisamente accelerata negativamente la situazione della Fondazione “Campanella”, dopo che il pm Dominjianni ha richiesto il fallimento dell’ente partecipato da Università “Magna…

Pubblicato il: 30/01/2015 – 12:59
L'«epilogo» della “Campanella”

CATANZARO Si è improvvisamente accelerata negativamente la situazione della Fondazione “Campanella”, dopo che il pm Dominjianni ha richiesto il fallimento dell’ente partecipato da Università “Magna Graecia” e Regione Calabria. A Germaneto, il presidente della Fondazione, Paolo Falzea, ha così indetto una conferenza stampa per fare il punto: «Siamo all’epilogo – ha esordito –. È giunta richiesta di fallimento a causa della situazione di crisi in cui versa la “Campanella”, una crisi derivata dai crediti che la Fondazione vanta nei confronti della Regione in base alla convenzione stipulata. La Regione, nel corso degli anni e in maniera del tutto unilaterale, dal 2010, ha deciso di ridurre i fondi da destinare alla “Campanella”, passando dai pattuiti 40 milioni di euro, ad 11 milioni, senza che si potessero ridurre i posti letto e il personale, senza che i costi relativi ad unità operative esterne alla Fondazione fossero scorporati. Per chiarire: 11 milioni di euro non bastano neanche per pagare gli stipendi. Ecco come si è generata la crisi».

Ma l’aggravarsi della situazione è dovuto, in seguito alla richiesta di fallimento, all’abbreviarsi dei tempi per concludere la transazione sui debiti che Regione e Fondazione, con l’accettazione da parte dei creditori come le case farmaceutiche, si sono ristretti sensibilmente: «A fronte di un credito di oltre 100 milioni nei confronti della Regione, eravamo riusciti a concludere una transazione per 29 milioni, soldi necessari per chiudere i conti con le case farmaceutiche e pagare gli stipendi. A questo punto, però, la richiesta di fallimento sta inducendo i creditori a ritirarsi dalla transazione, tanto che alcuni (come la Novartis, ndr), hanno già eseguito richiesta di pignoramento delle somme dovute».

A complicare il quadro, come se non fosse già abbastanza complesso, è arrivata anche la notizia che i dipendenti in esubero non possono accedere alla cassa integrazione: «Dal tavolo interministeriale – ha chiarito Falzea – ci è stato risposto che, non essendo la Fondazione un’impresa, non possiamo accedere alla cassa integrazione. Peccato che, invece, la richiesta di fallimento sia appannaggio delle imprese: quindi, quando si tratta di avere soldi per i dipendenti, non possiamo accedere, quando si tratta di dichiararci falliti, lo siamo: è il paradosso della nostra Italia».

L’amarezza del presidente Falzea, al tavolo assieme alla direttrice sanitaria, Patrizia Doldo, e al direttore generale Mario Martina, è palpabile, così come quella dei tanti dipendenti, medici, infermieri, personale amministrativo e operatori socio-sanitari che lamentano, oltre all’incertezza su un futuro a tinte sempre più fosche, anche grossi problemi economici dovuti ai cinque mesi di stipendi arretrati.

«Abbiamo avuto rassicurazioni da parte del presidente Oliverio – ha concluso Falzea – che sta dimostrando un interesse concreto nei nostri confronti, contrariamente a quanto non abbia fatto la giunta precedente alla quale, probabilmente, la Fondazione non piaceva. I tempi però stringono, è necessario che arrivino in fretta i 29 milioni della transazione per poter continuare ad erogare un servizio fondamentale per i nostri ammalati».

Già, gli ammalati, la cui situazione è kafkiana: la Fondazione non può smettere di assisterli perché sarebbe interruzione di pubblico servizio, ma non ha i soldi per comprare i farmaci e pagare gli stipendi. Quando le poche risorse di cassa finiranno, cosa succederà?

 

Alessandro Tarantino
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