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Il “testimone” calabrese: «Ho visto Majorana nel 1981»

ROMA «Ettore Majorana era sicuramente vivo nel 1981 ed era a Roma. Io l’ho visto». Dopo gli sviluppi sulla scomparsa del geniale fisco catanese – di cui si erano perse le tracce nel 1938, ma che la…

Pubblicato il: 05/02/2015 – 18:44
Il “testimone” calabrese: «Ho visto Majorana nel 1981»

ROMA «Ettore Majorana era sicuramente vivo nel 1981 ed era a Roma. Io l’ho visto». Dopo gli sviluppi sulla scomparsa del geniale fisco catanese – di cui si erano perse le tracce nel 1938, ma che la procura della capitale ha stabilito si trovasse in Venezuela tra il 1955 e il 1959 – un testimone racconta all’Ansa di averlo incontrato nel centro di Roma 34 anni fa insieme a mons. Luigi Di Liegro, il fondatore della Caritas romana. Era un senzatetto, ospite di un convento da cui si era allontanato. «Sono stato tra i collaboratori più vicini di mons. Di Liegro e con lui abbiamo incontrato Majorana probabilmente il 17 marzo 1981: ricordo la data perché collego l’episodio alla morte di mio padre, avvenuta il 21 marzo di quell’anno. E non è stata l’unica volta, l’ho incontrato in tre-quattro occasioni», afferma l’uomo, un programmista regista, originario della Calabria ma trasferitosi a Roma da giovane, che chiede che non venga citato il suo nome. «Majorana stava in piazza della Pilotta, sugli scalini dell’Università Gregoriana, a due passi da Fontana di Trevi. Aveva un’età apparente di oltre 70 anni». All’epoca l’uomo che potrebbe aver visto Majorana faceva parte dei “ragazzi del sacco”, un gruppo di giovani di area cattolica impegnato nell’assistere i senzatetto, specie di notte. «Un giorno – ricorda – ci incontrammo come sempre al binario 1 della stazione Termini per fare il solito giro e arrivammo a piazza della Pilotta. Ad un tratto uno di noi disse, non ricordo per quale motivo, che “avevamo un problema” e io gli risposi con una battuta: “non sarà mica il teorema di Fermat!”, riferendomi all’enigma del ‘600 che per secoli è stato un rompicapo per i più grandi geni della matematica e che all’epoca non era stato ancora risolto, perché la soluzione risale al 2000. A quel punto un senzatetto si girò e mi disse: “non è un teorema, perché la dimostrazione non l’ha ancora data nessuno. È una congettura”. Gli chiesi cosa ne sapesse del teorema di Fermat e disse che lui aveva la soluzione. Capii che non era il solito senzatetto. Gli chiesi di farsi trovare la sera seguente perché volevo farlo incontrare con don Di Liegro». L’uomo va dal sacerdote, gli racconta l’episodio e la sera seguente lo vedono al solito posto. «Don Di Liegro – racconta il testimone – mi allontanò, perché voleva parlarci da solo. Dopo circa mezz’ora il sacerdote scrisse qualcosa su un pezzo di carta e si allontanò per meno di un’ora. Quando tornò, il vecchietto si alzò e lo seguì. Anche io andai con loro, a casa di Di Liegro. Don Luigi prese la macchina, una Uno blu, e caricò il senzatetto. Dopo un’ora e mezza tornò e mi disse: “sai chi è quel senzatetto? È il fisico Ettore Majorana, quello scomparso. Ho telefonato al convento dove lui era ospite e mi hanno detto che si era allontanato. Ora ce l’ho riportato”. Don Di Liegro non mi ha mai voluto dire quale fosse questo convento, ma dal tempo che è stato assente ho pensato si trovasse ai Castelli Romani». Il testimone racconta di aver saputo da don Di Liegro, che a sua volta lo aveva appreso dal responsabile del convento, «che Majorana aveva intuito che gli studi che stava facendo a via Panisperna avrebbero portato alla bomba atomica: ha avuto una crisi di coscienza e voleva essere dimenticato. Sempre il responsabile del monastero gli disse che prima Majorana era ospite di un convento di Napoli e poi andò a finire in questo nei pressi di Roma. Erano certi che fosse lui anche per una cicatrice su una mano, la destra. Chiesi a don Luigi di riferirlo ai parenti di Majorana, ma lui disse che non potevamo. Io per tanti anni ho provato a tornare sull’argomento, ma don Di Liegro, che non lo riferì a nessuno, nemmeno ai suoi più stretti collaboratori, non voleva saperne e mi raccomandò di tacere. Mi disse di non dire niente a nessuno almeno per 15 anni dopo la sua morte, avvenuta il 12 ottobre 1997. Ormai il tempo è passato».

 

Vincenzo Sinapi (ANSA)

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