COSENZA Un colpo di scena arriva a fine udienza, ma non ha però i risultati previsti. Dopo una breve pausa pranzo l’udienza del processo “Terminator IV”, il procedimento scaturito dall’operazione che ha cercato di fare luce sulla guerra di mafia a Cosenza, il dibattimento è ripreso con l’interrogatorio di Mario Gatto, indagato per fatti connessi e già condannato a 30 anni di carcere. Ci si aspettava che Gatto, ritenuto un esponente della ‘ndrangheta del Cosentino e ristretto nel carcere di Voghera, decidesse di avvalersi della facoltà di non rispondere. Ma così non è stato. Collegato in videoconferenza dal carcere, Gatto ha ribadito al presidente della Corte d’Assise, Garofalo, di voler rispondere alle domande. Ma era senza avvocato. Si è proceduto, quindi, a nominarne uno d’ufficio. E da quel momento Gatto si è sottoposto prima alle domande degli avvocati della difesa e poi a quelle del pubblico ministero Pierpaolo Bruni. In mattinata è stato sentito anche il collaboratore di giustizia e imputato Francesco Amodio.
Al centro delle indagini gli agguati in cui sono morti, alla fine degli anni Novanta, Enzo Pelazza a Carolei, Antonio Sena a Castrolibero, Antonio Sassone trucidato a Terranova da Sibari e Vittorio Marchio ammazzato a Cosenza. In questo processo sono imputati Vincenzo Dedato, Franco Presta e Francesco Amodio. Walter Gianluca Marsico e Mario Gatto sono stati già condannati nell’ambito della stessa inchiesta. Gatto è stato arrestato ed è in carcere. Marsico non è sottoposto ad alcun regime restrittivo.
Gatto – che è stato giudicato e condannato per il delitto Pelazza – ha affermato di conoscere Vincenzo Dedato e Angelo Colosso, il pentito noto come “Poldino”. Ma con entrambi non avrebbe mai parlato di Pelazza, né dell’omicidio Sassone che lui non avrebbe neanche mai conosciuto.
“Dedato – ha detto Gatto rispondendo alle domande del pm Bruni – l’ho conosciuto nel carcere di Vibo il 19 luglio del 2000. Con Colosso ci siamo visti anche dopo il carcere”. Ma Gatto non sa quale fosse il ruolo di Dedato all’interno della cosca. “Dedato contabile della cosca? Non lo so – ha risposto al magistrato –. Quale associazione? Non esiste alcuna associazione. Io sono stato condannato ingiustamente”. Poi continua a dire – brevemente – come ha conosciuto gli altri esponenti della ‘ndrangheta: “Ho conosciuto Franco Presta nel 2003 nell’ambito del processo “Tamburo”. Anche Amodio l’ho conosciuto nel carcere di Vibo. E pure Lanzino l’ho conosciuto lì”. Gatto ha poi riferito di non aver mai avuto contrasti con Dedato e Amodio.
IL RACCONTO DEL PENTITO AMODIO
L’udienza è iniziata nell’aula della Corte d’Assise di Cosenza con un appuntamento atteso e già rinviato una volta per problemi tecnici: l’interrogatorio di Francesco Amodio, collaboratore di giustizia, sentito in videoconferenza. “Al momento – ha detto subito alla Corte – mi trovo senza il programma di protezione”. Ma – assicurano dalla Dda di Catanzaro – si provvederà subito per risolvere la questione”.
Amodio, di spalle indossando un giubbino blu, ha riferito tutto quello che sa della ‘ndrangheta del Cosentino, rispondendo a tutte le domande del pubblico ministero con dovizia di particolari e precisione. Ha sostanzialmente ribadito quanto già confermato in precedenti verbali.
“Facevo parte del clan Lanzino-Ruà – ha detto Amodio: partecipai attivamente alla vita della cosca da ottobre-novembre del ’99. Ero l’accompagnatore di Dedato, il contabile del gruppo. La mia collaborazione con la giustizia è cominciata il 2 dicembre del 2002: mi sono accusati di reati che riguardano le estorsioni e il traffico di droga”. Il pentito ribadisce i contrasti tra le cosche: “C’erano contrasti tra i Ruà-Lanzino e i Cicero-Perna con il gruppo – all’epoca appena nato – dei Bruni, detti “Bella bella”. Questo dissidio nasceva dal fatto che i Bruni volevano spartirsi le estorsioni sull’A3. Questa guerra ha causato la morte del padre di Michele Bruni”. Amodio, sollecitato dalle domande del pubblico ministero, torna a parlare degli agguati oggetto dell’inchiesta. “Ho saputo dell’omicidio Marchio – ha detto – perché in quel periodo ho cominciato a frequentare Dedato. Marchio sarebbe stato ucciso perché non avrebbe versato i proventi delle estorsioni. Sono stato contattato da Michele Bruni perché voleva che gli presentassi Ruà, quando gli ho detto che era impossibile mi chiese di presentargli Dedato. A quel punto Dedato mi portò a casa di Lanzino, che era agli arresti domiciliari, e Lanzino gli disse di incontrare Bruni ma in mia presenza. Si è parlato di estorsioni sulla A3. Dedato mi disse che bisognava togliere di mezzo gli appartenenti al clan Bruni”.
Amodio ha partecipato più volte alle riunioni tra i capi delle cosche “perché – ha detto – accompagnavo Dedato. Questi incontri si sono svolti a Paterno, a Cosenza sia a via Popilia che in una sala scommesse a via Roma”. Il collaboratore di giustizia ha poi indicato i componenti del “gruppo di fuoco”, e ha riferito quello che sapeva sugli altri delitti. In particolare, una frase che riguardava l’omicidio Sena e che sarebbe stata pronunciata da Gatto: “Domani non scappa”. “E’ stato deciso di ammazzare Antonio Sena – ha aggiunto Amodio – perché voleva sostenere i Bruni ed entrare a far parte della loro cosca. Siccome Sena era riconosciuto come un riferimento della ‘ndrangheta, il suo ingresso avrebbe dato spessore al clan Bruni. Sull’omicidio Sassone ricordo che con Dedato eravamo in un locale, vicino Cosenza: lui ha ricevuto una telefonata e dopo un po’ ci hanno raggiunto Presta e Perri. Dopo il locale siamo andati in una cornetteria, a Rende gestita dai fratelli di Di Puppo. A quel punto Dedato mi disse di ospitare a casa mia Perri e Presta. E così ho fatto. La mattina dopo comprando i giornali ho appreso della morte di Sassone e ho visto la macchina in una stradina”. Dedato – ha riferito ancora il pentito – era molto preoccupato per la presenza del fango sulle ruote della macchina. Un problema che bisognava risolvere.
Amodio ha poi risposto alle domande dell’avvocato Locco, difensore di Presta. Che ha poi chiesto di citare Gagliardi e Barberio, già indagati in procedimenti connessi. E anche assolti per alcuni reati.
Il giudice Garofalo ha aggiornato il processo al prossimo 27 febbraio.
Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it
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