In un editoriale del Corriere della Sera di qualche settimana fa Antonio Polito affronta l’attualità della vicenda della depenalizzazione delle frodi fiscali dalla quale si pensa e si dice che qualcuno avrebbe potuto trarre notevoli benefici. Dopo un excursus condivisibile, che tocca temi importanti a cominciare dal Consiglio del ministri apparso per così dire distratto dal dare una doverosa valutazione, all’eccesso di leggi delega che consentono di legiferare senza passare dall’aula, per finire con la presunta responsabilità dei burocrati che non si sarebbero accorti (?) di quelle righe aggiunte e, quindi, di cosa avrebbero potuto determinare. Polito afferma, si cita testualmente: «In ogni caso Renzi è uscito dall’impaccio come al solito con successo nei confronti dell’opinione pubblica: agli italiani cui la norma piaceva ha fatto sapere che l’aveva voluta lui, e a tutti gli altri che è stato lui a toglierla».
Sarà come scrive Polito, ma se dovessi giudicare dalle mie personali sensazioni direi che quell’episodio ha ingenerato solo tanta inquietudine determinata da una miscela di considerazioni che alla fine convergono verso un’unica direzione: la personalità del capo del governo. A rendere critico il giudizio su quella operazione non è tanto la presunta mano tesa a Berlusconi che, se vera, sarebbe comunque preoccupante, ma potrebbe persino significare l’avvio di un’incrinatura dei valori della democrazia parlamentare. È il voler personalizzare tutto, in alcuni casi persino oltre il consentito; allarma la sua politica degli annunci e non si tratta di confondere il decisionismo e il suo voler fare tutto e in fretta, perché semmai questo modo di comportarsi crea solo un carico di aspettative di cui Renzi può essere chiamato a rispondere al Paese se il suo modo di agire risultasse solo una semplice questione di facciata. Ciò su cui ci si interroga è invece che vi possa essere qualcuno, anche se è capo del governo, che può da solo modificare un testo, ancora peggio se in modo surrettizio e senza confrontarsi neanche con la pattuglia che lui stesso ha voluto al suo fianco per governare il Paese. Senza voler volare alto, ma un simile comportamento lascia la porta aperta a ogni ipotesi. Può essere stata una prova di onnipotenza, possibile in un consesso di nominati ma, come sospetta Polito, può anche comportare di non discutere più le norme o di soffermarsi su di esse con la necessaria attenzione.
Adesso che cosa accadrà? Renzi in più occasioni ha detto che si tratta di una norma che, anche se evita il processo penale, colpisce pesantemente gli evasori costretti, se scoperti, a esborsi pari al doppio della cifra non pagata. Può anche darsi che sia così, ma la questione riguarda non tanto i piccoli contribuenti, quanto soprattutto coloro la cui condotta truffaldina comporta milioni di euro sottratti allo Stato. Cifre importanti, o almeno considerate tali dalla stragrande maggioranza degli italiani.
Comunque sembra che la depenalizzazione sia considerata da Renzi innovativa e importante per il Paese e che, quindi, la voglia inserire a tutti i costi nel nuovo sistema fiscale. E, a giudicare dalle sue dichiarazioni, non cambia opinione neanche dopo che gli è stato fatto presente che l’evasione fiscale in Italia si aggira sui 130 miliardi di euro e che, pertanto, sarebbe difficile capire la “ratio” di un criterio di giudizio che possa evitare il rigore della legge a evasori e a grandi speculatori. Non fa marcia indietro il primo ministro neanche quando gli si dice che una norma ingiusta rimane tale sempre e non può esserlo solo per chi froda lo Stato dal 3 per cento in su dell’imponibile dichiarato, mentre a tutti gli altri si offre l’immunità se scoperti a non pagare. È certo che sulla pratica ritirata non vi sia stata sufficiente chiarezza, che rimangono paludate le motivazioni che hanno indotto Renzi a scrivere quelle due righe e tentare di fare passare il testo la sera del 24 dicembre sfruttando l’emotività della giornata e la fretta dei ministri e dei funzionari di raggiungere le loro famiglie. E allora non resta che domandarsi quale possa essere il vero obiettivo che il governo ha tentato di raggiungere la notte di Natale. Non è neanche chiaro il “congelamento” del testo per riproporlo a elezione del presidente della Repubblica avvenuta. Perché? È un segnale? E a chi? Rimane tuttavia da accertare se qualora l’elaborato sia stato modificato da Renzi, il ministro dell’Economia fosse d’accordo con lui o non si è accorto che il testo era stato cambiato e secondo lui non se ne siano resi conto neanche i suoi collaboratori. Questa vicenda aspetta ancora una risposta chiarificatrice, nonostante meriti di essere approfondita anche perché non si può pensare di derubricarla a semplice errore formale. Sarebbe semplicistico.
Non bisogna dimenticare che il nostro Paese in Europa, e nel mondo, non gode di buona reputazione per quanto riguarda l’economia e ciò non dipende, come si vuole far credere, solo dalla flessibilità del mercato del lavoro; il giudizio che si ha dell’Italia è principalmente condizionato dall’illegalità diffusa: dalla delinquenza organizzata, dall’evasione fiscale, dai bilanci falsificati e dalla corruzione. Se si dà l’impressione che si tenta di allargare le maglie della rete di controllo invece di restringerle, può diventare imprudente se non azzardato.
*Giornalista
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