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Aumenta il business delle agromafie

Le cosche sono attaccate alla terra. E hanno capito che l’agricoltura è un business che frutta parecchi soldi. Lo affermano i dati contenuti nel terzo rapporto sulle agromafie realizzato da Co…

Pubblicato il: 15/02/2015 – 9:40
Aumenta il business delle agromafie

Le cosche sono attaccate alla terra. E hanno capito che l’agricoltura è un business che frutta parecchi soldi. Lo affermano i dati contenuti nel terzo rapporto sulle agromafie realizzato da Coldiretti, Eurispes e l'”Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare”. I clan realizzano un “fatturato” del 10%, raggiungendo nel 2014 i 15,4 miliardi di euro.
Nelle oltre 220 pagine del dossier emergono gli interessi sempre crescenti della ‘ndrangheta. 

Se già dagli anni 50 la camorra si dedicava al controllo e alla gestione della commercializzazione all’ingrosso nel campo alimentare, nel corso dei decenni l’attività delle organizzazioni criminali, spesso consorziate, si è esteso lungo tutta la filiera dell’agroalimentare. Si ritrovano infatti investimenti di capitali di origine criminale nella produzione, nel trasporto, nella lavorazione, nel packaging, nella distribuzione e nella ristorazione, quest’ultima con oltre 5mila esercizi tra bar, ristoranti di ogni ordine e grado e franchising di marchi di tendenza. Non mancano poi presenze nei settori della macellazione e panificazione, nello sfruttamento degli animali per fini diversi, nel doping dei cavalli da corsa, nella gestione dei rifiuti, nella cementificazione di aree agricole e nel business delle energie alternative.
Nel settore alimentare produzione, distribuzione, vendita sono sempre più penetrate e condizionate dal potere criminale, esercitato ormai in forme raffinate attraverso la finanza, gli incroci e gli intrecci societari, la conquista di marchi prestigiosi, il condizionamento del mercato, l’imposizione degli stessi modelli di consumo e l’orientamento delle attività di ricerca scientifica. E se una volta il problema poteva essere considerato come una peculiarità meridionale, oggi non ci sono zone “franche” rispetto a tali fenomeni e i sodalizi criminali interessano anche le aree del centro e del nord Italia, dove le consorterie mafiose si sono da tempo insinuate nel tessuto economico attraverso un fitto intreccio di interessi tra comitati d’affari locali e famiglie mafiose siciliane, clan camorristici e ‘ndrangheta.

I capitali accumulati sul territorio dagli agromafiosi attraverso le mille forme di sfruttamento e di illegalità hanno perciò bisogno di sbocchi, devono essere ripuliti e messi a frutto. Ecco allora lasciano la campagna e raggiungono le città – in Italia e all’estero – dove è più facile renderli anonimi, confonderli con quelli regolari della “terra di mezzo” e ripulirli infettando pezzi interi di buona economia. Quello che invece è un fenomeno nuovo e particolarmente preoccupante è il money dirtying, cioè: non sono più i capitali “sporchi” a essere ripuliti, bensì i capitali puliti a indirizzarsi verso l’economia sporca. Il fenomeno è nuovo, ma tutt’altro che marginale: almeno un miliardo e mezzo di euro transitano sotto forma di investimento dall’economia sana a quella illegale, ovvero circa 120 milioni di euro al mese, 4 milioni di euro al giorno.

In sostanza, diversi soggetti che dispongono di liquidità prodotta all’interno dei settori attivi nonostante la crisi, trovano convenienti e pertanto decidono di perseguire forme di investimento affidandosi a soggetti borderline o a organizzazioni in grado di operare sul territorio nazionale e all’estero in condizioni di relativa sicurezza.

 

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