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I dubbi sull'azienda capofila del "piano Cutro"

REGGIO CALABRIA Chi si muove dietro la Faecase, l’azienda che il clan Grande Aracri aveva scelto come capofila del cosiddetto “piano Cutro”, il progetto destinato a costruire un mega impianto per l…

Pubblicato il: 17/02/2015 – 9:53
I dubbi sull'azienda capofila del "piano Cutro"

REGGIO CALABRIA Chi si muove dietro la Faecase, l’azienda che il clan Grande Aracri aveva scelto come capofila del cosiddetto “piano Cutro”, il progetto destinato a costruire un mega impianto per la produzione di materiale elettrico, con annessa centrale eolica? È una domanda cui probabilmente le Procure venete e non solo cercheranno di dare risposta, per completare il quadro opaco e ambiguo che sembra comporsi attorno alla società e alle operazioni in cui è stata coinvolta. Se gli stessi investigatori sottolineano che ad amministrare la Faecase c’è un imprenditore veneto “pulito”, Giovanni Niero, adesso si punta a capire per quale motivo e in che senso l’amministratore degli affari del clan in Emilia e nel Nord est, Antonio Gualtieri abbia potuto affermare che proprio quella ditta sarebbe stata scelta perché «lui (il boss Nicolino Grande Aracri ndr) ha degli appartamenti dentro… ha degli appartamenti dentro… là a Soave…».

Ma sotto la lente di inquirenti e investigatori potrebbero finire anche una serie di – quanto meno curiose – manovre finanziare che hanno interessato la Faecase – piccola azienda «operante nel settore della compravendita, locazione, amministrazione, costruzione di immobili ed attività edili in genere» – che nel 2010 si  barcamenava a stento fra gli effetti della crisi. A chiusura del bilancio 2010, la società mostrava una perdita d’esercizio di 79.699 euro ed «aveva in corso un unico intervento edilizio relativo alla costruzione di un complesso immobiliare nel comune di Ronchis», tuttavia a febbraio – solo qualche mese dopo la poco brillante chiusura annuale dei conti – il 93% della società veniva acquistata dalla Consulfiduciaria, grande società di fidi con sede a Milano, ma interessi in tutto il nord est che ha in Stefano Dorio, noto commercialista veronese fondatore dello studio Mercanti Dorio e Associati, il suo presidente del consiglio d’amministrazione. Professionista noto, Dorio ha conquistato gli onori delle cronache come advisor della fusione fra la società di gestione dell’aeroporto di Venezia, la Save, e la società di gestione degli aeroporti di Verona e Brescia, mentre la Consulfiduciaria risulta socia di una trentina di imprese di media e grande dimensione. Entrambi sembrano dunque viaggiare su un’orbita ben distante da quella di una piccola società di costruzioni schiacciata dalla crisi, che tuttavia saranno proprio loro a salvare.

Il 7% della Faecase invece è in mano alla Immobiliari Gemelle srl, la cui amministratrice e unica socia, dal 2011 è Rosa Parrinelli, madre di Raffaele Oppido, l’uomo che il clan Grande Aracri aveva scelto come “referente aziendale” per la realizzazione del “piano Cutro”, qualche settimana fa finito ai domiciliari per intestazione fittizia dei beni. Non è dato sapere per quale motivo la nota società milanese si sia esposta così tanto, né con quale scopo, di certo però dalle indagini emerge che l’uomo che i clan avevano scelto per gestire l’operazione, alla Faecase ha avuto carta bianca ben prima di esserne formalmente parte. Non a caso, il 29 settembre, Oppido assicura a Gualtieri che « sono pronti tra altri 20 giorni più o meno, 15-20 giorni, una volta che ci sono i documenti, siamo già rimasti come dobbiamo chiudere, però ancora non siamo noi i proprietari!…». Nonostante  ciò, già da agosto gli investigatori registrano la sua – poco solerte – attività di raccolta della documentazione necessaria a fare della Faecase la capofila del “piano Cutro”, ma soprattutto per recuperare i finanziamenti necessari per avviare l’operazione. In quei mesi vengono contattati istituti di credito e possibili investitori e partner, mentre lo stesso Oppido tenta una serie di operazioni immobiliari in stretta sinergia con la casa madre di Cutro.  A supervisionare le operazioni è Antonio Gualtieri in persona e proprio dalle sue conversazioni con la consulente finanziaria di fiducia del clan, Roberta Tattini, emerge non solo il ruolo di Oppido, ma anche l’enorme debito che ha contratto con il boss in persona e in quei mesi lavora per ripagare «….Raffaele – spiega la Tattini intercettata – quello che si vende la Faecase. ha un debito con… INC  gli ha toccato tipo 400 mila euro… allora ha detto: “cerchiamo di rimettere a posto..di rimettere a posto la società” mi hanno dato incarico.. io quello che faccio è con la banca su, no?, in modo che poi lui altri lotti li delibera, poi o li finanzia o li vende allo..beh, insomma, per rientrare! no?… e lui ha iniziato a fare del gran casino..cioè, del gran casino! “. Operazioni che non vanno in porto perché – riassumono gli investigatori – Raffaele Oppido “si rivelerà essere un elemento di scarsa affidabilità, poco serio, impreciso e per certi versi anche indisponente, ragion per cui sarà solo la sua lontananza geografica dal centro nevralgico dell’associazione criminale di Reggio Emilia ad impedire richiami gerarchici efferati o dirette azioni intimidatorie nei suoi confronti».

Ma anche l’importante socio di maggioranza non sembra essersi curato troppo della sorte della Faecase, nonostante quel 93% di proprietà delle quote gli concedesse voce in capitolo. Eppure, tra agli atti dell’inchiesta Aemilia, non è possibile rintracciare alcun contatto fra la fiduciaria e Oppido che, di fatto, è nel tempo divenuto amministratore di una sua controllata. Un silenzio di cui adesso gli inquirenti potrebbero iniziare a chiedersi la ragione. 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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