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Basta con i morti

Il Mezzogiorno sta sempre di più divenendo il sud dell’Europa, ad eccezione della Basilicata che pare essere baciata dalla buona sorte. Un Sud inteso come territorio abbandonato dal diritto, dall’e…

Pubblicato il: 18/02/2015 – 9:48
Basta con i morti

Il Mezzogiorno sta sempre di più divenendo il sud dell’Europa, ad eccezione della Basilicata che pare essere baciata dalla buona sorte. Un Sud inteso come territorio abbandonato dal diritto, dall’economia e, per alcuni versi, anche dal Padreterno.

In esso si registrano le cose peggiori, che vanno dai due bimbi morti in una settimana in Sicilia per la malasanità, la stessa che ha ucciso e continua ad uccidere tanti in Calabria. Il tutto nella noncuranza, meglio nell’assurda competizione giuridico-istituzionale istauratasi per la nomina di commissario ad acta. In una sanità abbandonata, come la nostra, non c’è nulla da vincere. A perdere sono da sempre i cittadini e i medici/infermieri abbandonati a se stessi, in favore dei quali bisogna (finalmente) lavorare.

Ieri l’altro una notizia da far tremare i polsi. L’Università di Zurigo ha pubblicato un suo studio su una prestigiosa rivista scientifica, Lancet Psychiatry, dal quale si desume che in dieci anni sono stati accertati oltre 200.000 suicidi tra chi ha perso il lavoro. Un esame del fenomeno affrontato solo nell’Occidente che, se fosse stato esteso alle popolatissime Cina e India nonché al continente africano, avrebbe di certo superato di gran lunga il tetto del milione di innocenti andati in Paradiso, ai quali la globalizzazione ha sottratto in vita la dignità.

Un suicidio su cinque dovuto alla disoccupazione in senso lato è un rapporto che fa presagire l’esistenza di una guerra in atto che uccide la persona, alla quale è riconosciuto il diritto naturale di potere lavorare, ove il decisore politico recita il ruolo del mero spettatore, disattendendo ai suoi doveri.

Quindi, così come è vero che il lavoro è vita, la sua perdita ovvero la paura di perderlo o di non trovarlo sono cause di morte, così come sottolineato dalla prestigiosa università elvetica.

A tutto questo vanno aggiunti i casi di quegli imprenditori/artigiani che hanno deciso e (ahinoi) continuano a decidere di mettere fine ai loro giorni perché sul lastrico. Un’altra modalità di perdere il lavoro per se stessi e i loro collaboratori, spesso cresciuti insieme alle aziende che frequentemente chiudono per un fisco iniquo oppure per una pubblica amministrazione che paga troppo in ritardo. Cause, queste, che soventemente rendono impossibile il pagamento dei salari, dei contributi previdenziali e delle imposte relative.

L’entità del dato dei suicidi rilevati ingenera una grande preoccupazione, nei confronti della quale la politica è da tempo cieca e sorda, dimostrando con ciò la sua incapacità di tradurre il bisogno sociale in ricerca della soluzione, fosse anche impossibile. Ci riferiamo al rischio crescente, dettato da una disoccupazione in incremento esponenziale, e alle patologie depressive che affliggono genitori e figli, ai quali viene impedito il lavoro.

Supporre di risolvere i problemi del lavoro facendo ricorso alla speranza ovvero agli ammortizzatori sociali, peraltro spesso concessi  indebitamente, è sintomatico del grave errore d’ipotesi che continua la sua assurda corsa, andando oltre la ratio che ne determinò la saggia istituzione a tutela delle difficoltà destinate a risolversi nel medio termine. Assicurare il pane gratis è costituzionalmente ed eticamente corretto. Il problema della politica è quello di capire che vi è il rischio che chiudano i fornai.

Su tutto occorrerebbe una Calabria superattiva che – partendo dallo zero in materia di iniziativa e di occasioni percorribili – fosse in grado di produrre: la speranza in chi l’ha persa da tempo e la elaborazione tempestiva di un idoneo percorso riparatore.

È il progetto industriale che manca e che va, dunque, ricercato. La riformulazione dei macrosistemi è uno degli elementi sui quali poggiare l’economia pubblica e quella privata, strumentale ad incentivare l’iniziativa economica dei singoli che necessita stimolare ad hoc per generare investimenti. Una ipotesi di lavoro che consentirà l’incentivazione dell’aggregazione dei decisori locali (unioni e fusioni municipali) e la produzione di una sintesi istituzionale della salute, funzionale a determinare un unico centro di governo della spesa regionale capace di garantire la sanità ovunque e fatta meglio. Due modi che, assistiti dagli opportuni provvedimenti e dalla collaborazione dell’intero sistema autonomistico, faciliterebbero la correzione del rapporto pubblico/privato ma soprattutto darebbero l’occasione di pretendere lo sblocco del turnover funzionale a non morire attraverso la pratica di una occupazione intelligente. Non solo. Offrirebbe l’opportunità di frequentare percorsi utili a risanare e non già ad “anestetizzare” i dolorosi danni conseguenti alle mostruosità prodotte dalle passate gestioni attraverso soluzioni reali da ricercare nell’alveo delle regole che disciplinano la concorrenza amministrata ovvero i cosiddetti quasi-mercati.

*Docenti Unical

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