LAMEZIA TERME Le dimissioni dal governo Renzi, il rifiuto di entrare in giunta regionale, lo sfogo a caldo affidato al Corriere della Sera, poi il silenzio e il ritorno al lavoro di farmacista nella “sua” Monasterace. Chi pensava che Maria Carmela Lanzetta avesse scelto ormai il basso profilo dopo settimane ad alta tensione, evidentemente, si sbagliava. L’ex ministro torna a far sentire la sua voce. E le parole sono fendenti dritti al cuore di chi ha in mano le redini del Pd in Calabria. Nel mirino ci sono il segretario Ernesto Magorno e il governatore Mario Oliverio. Al primo Lanzetta riserva parole di fuoco: «Sia sulle mie dimissioni dal governo che sulla nomina in giunta di De Gaetano il segretario è rimasto in silenzio. E lo ha fatto nonostante un comunicato di Palazzo Chigi abbia sostenuto che la vicenda De Gaetano “non è sufficientemente chiarita”. Ciò la dice lunga sul disagio di un partito in cui sembra che sia prevalsa la restaurazione, diretta e/o indiretta».
Un modo non tanto indiretto per confermare che quel documento così duro è stato partorito di concerto con il sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio. E Renzi? Il premier finora ha dichiarato di stare dalla parte del Pd calabrese e del presidente della Regione. Lanzetta, sul punto, non si sbilancia ma è chiaro che ormai l’ex civatiana, poi diventata renziana, adesso segnalata come battitrice libera, si candida a guidare la minoranza interna tra i dem.
L’ex titolare del ministero per gli Affari regionali, tuttavia, non è tenera nemmeno nei confronti di Oliverio: «Dopo la sua vittoria alle primarie mi ero messa a disposizione perché avevo capito che c’era la volontà di mettere insieme un team di persone per tirare fuori la Calabria dall’isolamento socio-economico in cui si trova. L’accusa che avrei atteso due giorni prima di rinunciare alla nomina è solo ridicola e pronunciata in malafede. Infatti, pur avendo molti dubbi, non era facile prendere una decisione dal momento in cui il mio ruolo avrebbe dovuto essere anche quello di raccordo con il governo; pertanto ho voluto raccogliere molte più informazioni sulla questione e dare una risposta sicura ed inequivocabile su una scelta che, sicuramente, avrebbe provocato (come è successo) risentimenti personali e politici». Il riferimento è sempre all’ingresso di Nino De Gaetano nell’esecutivo calabrese: «Ogni giorno ricevo decine di messaggi e di telefonate di elettori e simpatizzanti che manifestano la delusione, per usare un eufemismo, per come le promesse elettorali di rinnovamento sono state disattese. Sono messaggi che chiedono, anche e soprattutto, che venga spiegato come mai un ex consigliere regionale non viene ricandidato alle ultime elezioni regionali, perché avrebbe svolto due mandati consecutivi – ma non è vero – e poi lo stesso ex consigliere ce lo ritroviamo nominato come assessore, senza “se” e senza “ma”. Questo strano modo di procedere e tutta la vicenda giudiziaria, ripeto mai smentita, è sufficiente per porre un problema politico a cui il Pd deve dare una risposta certa e inequivocabile per uscire dalle ambiguità già rappresentate».
Attacco finito? Nemmeno per sogno. Le critiche finali sono rivolte a Peppino Vallone, presidente del Pd calabrese e sindaco di Crotone: «Come è possibile parlare di Beni culturali, dal momento in cui dovrei spiegare che in una città guidata da un sindaco dem e presidente dell’Anci regionale è stata deliberata una cementificazione oltraggiosa della storia e della cultura archeologica, tenendo all’oscuro i cittadini che giustamente e per fortuna si sono ribellati facendo le sentinelle al sito archeologico, nel freddo del giorno e della notte, per far sospendere i lavori?».
Poi la stoccata ai vari Bruno, Mirabello e Romeo, «tre segretari provinciali del Pd che ancora non si dimettono pur essendo stati eletti da mesi in altri importanti incarichi, provocando la ribellione di molti circoli». Così, giusto per rendere il clima ancora più elettrizzante di quanto non lo sia già.
an. ri.
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