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Stile presidenziale

Semplice, sottovoce, chiaro. Come può essere una personalità politica che si è sempre richiamata alle posizioni di Aldo Moro. Certo, da presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non ha parlat…

Pubblicato il: 19/02/2015 – 17:00

Semplice, sottovoce, chiaro. Come può essere una personalità politica che si è sempre richiamata alle posizioni di Aldo Moro. Certo, da presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non ha parlato di convergenze parallele, ma di crisi, forze armate, salute, giovani, donne, disabili e Mezzogiorno. Trenta minuti, quasi sottovoce, ma limpido. Altrimenti non ci sarebbero stati ben quarantadue-quarantadue applausi. Un vero record, mai raggiunto, con tutto il rispetto, dal alcuno dei suoi predecessori al Colle. Più – e giustamente – calato nel ruolo, Mattarella non è stato diverso, nel suo discorso, rispetto a quando era impegnato in politica. Sia da deputato, da ministro, da vicepresidente del Consiglio. Da giudice costituzionale non si è, invece, mai sentito. La sua sobrietà è stata sempre proverbiale. Connaturata col suo modo di essere, aumentata, probabilmente, quando ha preso tra le braccia il fratello Piersanti,ucciso dalla mafia. Lui che avrebbe voluto fare, da sempre, il docente universitario, ma che, poi, si convinse – e fu spinto – a prenderne il posto, nell’agone politico, prima siciliano, poi nazionale.
Era così, anche, quando venne mandato da De Mita, a svolgere le funzioni di commissario provinciale dell’allora Dc a Reggio. Incontrando, a soli o insieme, i maggiorenti di quel partito, non ha mai alzato la voce. E se qualcuno iniziava ad alzarla, veniva, con un gesto delle mani, educatamente invitato a parlare, con il tono di voce normale. Anche se doveva, addurre le proprie ragioni a danno di altri. Anzi, proprio per questo, diceva Mattarella all’interlocutore. «Devi farmi capire il tuo punto di vista e lo puoi fare senza gridare, tanto capisco lo stesso. Non sono sordo e tu mi dimostri le tue ragioni, che poi valuterò meglio». Ore e ore trascorse all’Excelsior dei Montesano, intere giornate in via Possidonea a tentare di mediare, ad ascoltare le ragioni di tutti.
Lui capiva,meglio di altri, probabilmente, perché uomo del Sud le difficoltà del far politica a Reggio, in quel momento, che i non più giovani ricordano, specialmente quelli dell’allora Movimento giovanile della Dc. A quarant’anni, doveva dirimere le “controversie” esistenti tra i due big della Dc reggina: Ligato e Quattrone. E, in un certo senso, con l’innesto tra i quadri del suo partito, di giovani dell’Azione cattolica, seguaci di mons. Salvatore Nunnari, oggi arcivescovo di Cosenza- Bisignano, allora giovane parroco del Soccorso e collaboratore dell’arcivescovo, la Dc vinse le elezioni. Durò l’espace di un matin l’azione di Mattarella che, qualche anno dopo, dovette tornare, come osservatore, dopo la denuncia dell’onorevole Franco Quattrone dell’esistenza di un superpartito che governava Reggio. Anche in quell’ultima occasione non lasciò, con la sua pacatezza ma inflessibile opera di convincimento, nulla di intentato perché la Dc tornasse all’ut unum sint di Giovanni XXIII°. Erano tutti convinti di tornare all’unità, ma il convincimento finì, dopo poco, molto male. Sono in tanti a ricordare ancora, anche se non molti. Come pochi ricordano, quando il neo capo dello Stato venne a Locri per una conferenza sul ruolo dei cattolici democratici e la Costituzione, invitato da Guido Laganà. Andai più per ascoltarlo che per intervistarlo per la Rai. Infatti mi disse riassumi tu, non voglio rilasciare interviste. Solo la mia insistenza lo convinse a parlare per meno di un minuto: un tempo record. «Il ruolo dei cattolici democratici, come e più di altri, è quello di applicare la Costituzione, di viverla giorno per giorno». Cosa significa? «Garantire il diritto al lavoro, il diritto allo studio,promuovere la cultura, attenuare il dualismo Nord-Sud, non evadere le tasse. Insomma applicare l’insegnamento di Cristo». Mi colpi molto per la serietà e per la sua ritrosia. Ci salutammo cordialmente con una stretta di mano. Lo rividi a un congresso della Dc. Lo salutai per educazione, mi guardò e mi disse: «Ci siamo conosciuti, vero? Ma, mi perdoni, non ricordo dove». «A Locri», gli risposi. «Vero, quando, mi costrinse a una breve intervista!». Poi l’ho sempre seguito attraverso i giornali e la Tv, senza mai più incontrarlo. Anni prima,invece, nel 1979, avevamo fatto il congresso del Movimento giovanile della DC, a Palermo. E noi, che ci consideravamo morotei (c’era Marco Follini) ci riunivamo a casa di Piersanti Mattarella, ma il fratello non venne mai. Non immaginava che avrebbe fatto politica, né che sarebbe divenuto, quaranta e più anni dopo, presidente della Repubblica.
Così come allora a Locri, Mattarella non ha mai dimenticato il Sud. Quando, nel discorso di insediamento, ha parlato della necessità di recuperare il senso dell’unità del nostro Paese, di ricucire il rapporto tra Stato e popolo, di consentire ai cittadini di sentirsi parte di una comunità, non significa parlare anche della Calabria e, più in generale del Mezzogiorno? Non si deve guardare con la stessa attenzione verso il Sud l’assunto di Mattarella che ha parlato di ridurre la distanza tra lo Stato ed il Paese? E non ha esplicitato la sua attenzione verso le regioni meridionali allorquando ha sostenuto che «la crisi protrattasi oltre ogni limite ha aumentato le ingiustizie, ha ingenerato nuove povertà, ha prodotto emarginazione e solitudine, angosce per il lavoro che manca a tanti giovani specie del Sud». E quando ha sottolineato che la lotta alla mafia e alla corruzione sono priorità, non ha parlato anche del Mezzogiorno?
Insomma, per il capo dello Stato, la sfida si vince con una moltitudine di persone oneste, competenti, tenaci. Certo sarà il governo a dovere agire. Ma, come ha scritto Emanuele Macaluso: «Renzi e Mattarella, con i loro caratteri, uno prudente, l’altro svelto, sono complementari. Non si elidono, si sommano». La speranza si è desta.

*Giornalista

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