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Parco eolico di Isola, il gip “assolve” la società

ISOLA CAPO RIZZUTO L’ordinanza del gip di Catanzaro, Gabriella Reillo, che dispone il dissequestro della società proprietaria del Parco eolico di Isola Capo Rizzuto, di fatto sancisce la fine dell’…

Pubblicato il: 22/02/2015 – 10:44
Parco eolico di Isola, il gip “assolve” la società

ISOLA CAPO RIZZUTO L’ordinanza del gip di Catanzaro, Gabriella Reillo, che dispone il dissequestro della società proprietaria del Parco eolico di Isola Capo Rizzuto, di fatto sancisce la fine dell’inchiesta che ne riconduceva la proprietà in capo a esponenti del clan mafioso degli Arena. La svolta, come detto, arriva con l’ordinanza emessa dal gip che, di fatto, smonta ogni quadro accusatorio: «Ipotesi che all’esito –scrive, infatti il giudice delle indagini preliminari – di approfondite indagini anche economiche svolte con rogatorie internazionali non hanno avuto alcun riscontro». Secondo il gip, «dagli accertamenti eseguiti in Germania risulta che i fondi per la realizzazione del parco eolico Wind Farm di Isola Capo Rizzuto sono stati erogati dalla HSH Nordbank con esclusione di finanziamenti occulti riconducibili alla consorteria degli Arena di Isola Capo Rizzuto e dell’ipotizzato reato di riciclaggio e che in relazione alla “Vent1 Capo Rizzuto” non vi sono elementi per ipotizzare la riconducibilità della società ad Arena Pasquale cl.’53». Insomma, dopo sei anni di indagini ci si ritrova con una ordinanza che esclude «l’ipotesi di impiego di capitali mafiosi», così come esclude «che gli indagati, soggetti stranieri ed incensurati, fossero a conoscenza del fatto che Pasquale Arena classe 1953, Nicola Arena classe 1964 e Carmine Megna, anch’essi incensurati, fossero gravati da “precedenti di polizia” che da soli non consentono l’applicazione di misure di prevenzione nei loro confronti». Nella sua ordinanza demolitoria, poi, il gip Gabriella Reillo aggiunge che «Arena Pasquale, Arena Nicola classe 1964 e Megna Carmine, erano portatori di interessi personali ed autonomi nella realizzazione del parco eolico nella previsione di un guadagno economico derivato dallo svolgimento di ruoli e funzioni lavorative», laddove invece, le indagini non sono riuscite ad andare oltre il «mero sospetto del collegamento dei due Arena con lo zio Arena Nicola classe 1937.
E ciò sulla scorta dell’accertamento economico che ha escluso investimenti illeciti e della verifica positiva ed innegabile dell’espressa volontà di Arena Nicola classe 1964, di tenere lontano lo zio dall’attività imprenditoriale in questione». Sempre secondo il gip, infine, le indagini hanno «consentito di verificare appieno che la formale estromissione di Arena Nicola classe 1964 e Megna Carmine dalla compagine societaria era stata suggerita dalla necessità di difendere la società dal sospetto di cointeressenze mafiose, così come ipotizzato dal clamore mediatico che aveva accompagnato alcune inchieste giornalistiche».
Inevitabilmente, sulla scorta di tale pronunciamento del gip, la difesa ha ora formalizzato una richiesta al Procuratore distrettuale di Catanzaro tendente ad ottenere «l’immediata archiviazione del procedimento in relazione a ciascuna e tutte le posizioni investigate» Nell’istanza, prodotta dall’avvocato Giancarlo Pittelli, legale della società che ha la titolarità del parco eolico di Isola Capo Rizzuto per averla acquistata dai fratelli Arena, si sottolinea l’urgenza dell’archiviazione per scongiurare «il rischio concreto e imminente della definitiva cancellazione di un’azienda produttiva, in ragione delle conseguenze disastrose di un’ipotesi investigativa rimasta priva di qualsivoglia conferma ed, anzi, puntualmente smentita da acquisizioni probatorie di inequivoca portata». E giusto per non restare nell’equivoco, ecco che l’avvocato Pittelli ricorda che «la s.r.l. Vent1 Capo Rizzuto si trova attualmente in stato di decozione prefallimentare.
E ciò a seguito dell’avvio dell’inchiesta con l’emanazione del provvedimento di sequestro preventivo d’urgenza del luglio 2012 (dapprima revocato e successivamente riadottato) e dell’immediata spedizione, da parte del prefetto di Crotone, dell’interdittiva antimafia che ha determinato l’inevitabile sospensione e la successiva revoca del contratto intrattenuto con il Gse avente ad oggetto la corresponsione degli incentivi alla produzione (certificati verdi)». Un danno che la difesa stima in «diverse decine di milioni di euro di mancati introiti, senza considerare il debito residuo nei confronti dell’Istituto bancario finanziatore (HSH North Bank) d’importo pari a circa duecento milioni di euro. E ciò senza procedere a valutazioni economiche coinvolgenti altri e diversi aspetti della vicenda». E qui sta il punto: cosa conviene più ai titolari della società proprietaria del dissequestrato parco eolico? A sentire le cattiverie che circolano, conviene che la loro istanza venga respinta e l’inchiesta portata avanti con una richiesta di rinvio a giudizio, nonostante la stroncatura già anticipata dal gip. Un caso scolastico di errore giudiziario “pro reo”, se vogliamo.
È proprio di questo che si preoccupa (e si occupa) la commissione Gratteri nel rivedere il meccanismo di utilizzo dei beni sequestrati. Se invece di bloccarne il funzionamento con interdittive e affidamento a curatori che spingono le aziende verso il fallimento, le si mettesse a regime avremmo, nel caso la confisca vada a buon fine, un bene pubblico produttivo e utile alla comunità, nel caso di un proscioglimento la restituzione dell’azienda senza alcun danno e quindi senza la possibilità che sia l’erario a dover rimborsare danno e mancati guadagni che è come dire, per il cittadino in cerca di giustizia, la beffa è il danno. In questo caso anche ingente.

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