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Il "Cilea" omaggia Pasolini

REGGIO CALABRIA «La religione del mio tempo esprime la crisi degli anni Sessanta, la sirena neo-capitalistica da una parte, la desistenza rivoluzionaria dall’altra e il vuoto, il terribile vuoto es…

Pubblicato il: 24/02/2015 – 10:34
Il "Cilea" omaggia Pasolini

REGGIO CALABRIA «La religione del mio tempo esprime la crisi degli anni Sessanta, la sirena neo-capitalistica da una parte, la desistenza rivoluzionaria dall’altra e il vuoto, il terribile vuoto esistenziale che ne consegue». Pasolini ricorre a queste parole per spiegare il pensiero espresso ne “La religione del mio tempo” uscito nel maggio del 1961. L’ «abbassamento del livello culturale sottoproletario» e la «latente omologazione del neo-capitalismo», sono temi molto cari al poeta bolognese che tenta, attraverso una dimensione autobiografica, di mostrare come la perdita dei valori legati alla Resistenza, porti sempre più verso una realtà in cui il puro individualismo, abbracciando l’edonismo e il capitalismo più spregevole, possa trasformare la società. Al teatro “F. Cilea” di Reggio Calabria lunedì sera, il cantautore e bassista Pierpaolo Capovilla del “Teatro degli Orrori” di Venezia, attraverso la sua voce e accompagnato in scena dal musicista e compositore Paki Zennaro, ha fatto un omaggio ad alcune delle poesie più incisive dell’opera di Pasolini, esibendosi in un reading in tre atti (La ballata delle madri; La religione del mio tempo; Una luce) che ha colpito il pubblico a tal punto che alcuni spettatori hanno abbandonato la propria poltrona molto prima della fine dello spettacolo. Ma l’intento era proprio quello: sconvolgere lo spettatore, elemento peculiare della politica del “Teatro degli orrori” che si rifà a un più incisivo e conosciuto “Teatro della crudeltà” fondato dal drammaturgo, attore e regista francese Antonin Artaud nei primi anni del Novecento.

«Artaud è il mio maestro. Lui diceva che il pubblico doveva rimanere sconcertato, nel senso che doveva uscire dal teatro quasi spaventato – spiega Capovilla -, inconsapevolmente consapevole di aver vissuto finalmente due ore di vita straordinaria. Ed è quello che poi ti può indurre a pensare la tua esistenza nella sua generalità in maniera diversa. A questo serva l’arte. Majakovsky diceva che l’arte non è lo specchio della realtà, ma lo scalpello dello scultore che rifà il mondo da capo. Io sono per la scrittura di scena, come lo era Carmelo Bene. Nel “Teatro degli orrori” c’è una forte componente di scrittura scenica. Io voglio che il concerto diventi non una rappresentazione qualsiasi, come potrebbero essere i concerti di musica leggera italiana, con luci perfette. No, io voglio resuscitare in scena. Voglio che il palcoscenico diventi un momento della mia vita reale, cioè un momento in cui io vivo realmente. È quando torno a casa che crepo, davanti alla Tv o quando vado in ufficio, a fare dieci, dodici ore di lavoro in fabbrica a menar bulloni, senza senso. È lì che si crepa. Invece il teatro è vita, nel senso che è resuscitare finalmente. È vivere davvero, sul serio, almeno qualche ora nella tua esistenza. Questa sera abbiamo interpretato “La religione del mio tempo” e, come io amo concludere ripetendomi anche cento volte, Pasolini seppe vedere la sua contemporaneità, quella in cui lui visse, ma seppe vedere anche il processo che era insito in quella sua contemporaneità, seppe vedere il futuro del nostro Paese,e non sbagliò, neanche un po’, perché questo è quello che è accaduto all’ Italia con la perdita dei valori della Resistenza e l’abbraccio del disvalore del consumismo, della decadenza sociale. Io credo di non essere solo. Io credo che questo processo della decadenza della società italiana dalla fine degli anni ’50 fino ai nostri giorni abbia fatto passi giganteschi, che ci racconti oggi della nostra contemporaneità. Ecco perché questi versi scritti così tanto tempo fa, sembrano veramente elaborati ieri e sembrano dedicati a noi. È per questo che ho scelto questo testo». Nonostante le reazioni discordanti, l’artista varesino ha riempito la platea del “Cilea” che l’ha salutato con un lungo e caloroso applauso.

Miriam Guinea

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