«A fronte di tanti segni di falsa religiosità, chi doveva coglierli e contrastarli davanti allo stesso popolo non lo ha fatto; preti e vescovi in Calabria, Sicilia e Campania sono stati, salvo rare e nobilissime eccezioni, silenti e hanno perfino ignorato messaggi forti che pur provenivano dall’alto: basti pensare a quelli di Giovanni Paolo II ad Agrigento e di Benedetto XVI a Palermo». È quanto si legge nella relazione 2014 della Direzione nazionale antimafia a proposito delle soste delle processioni religiose davanti alle case di boss della criminalità. Tra i segni «concreti di cambiamento», la Dna ricorda il decreto del vescovo di Acireale del 20 giugno 2013, che ha vietato nella sua diocesi il funerale in chiesa al mafioso condannato che non abbia manifestato, «nel faro esterno», alcun segno di ravvedimento; «provvedimento questo certamente innovativo e che quasi anticipa il senso religioso della scomunica lanciata ai mafiosi da Papa Francesco in Calabria».
«In questa occasione – osserva la Dna – il Papa ha pronunciato parole di grande impegno, quasi un programma antimafia e dopo quella visita l’atteggiamento della chiesa locale è cambiato: sono così finalmente risuonate esplicite parole di condanna contro quella blasfema manifestazione di finta religiosità avvenuta a Oppido Mamertino e sono stati maggiormente sostenuti giovani preti che operano sull’esempio di due eroi dell’antimafia che sono don Peppino Diana e don Pino Puglisi, uccisi a causa dei valori che divulgavano».
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