LAMEZIA TERME Nicolino Grande Aracri sognava una provincia cutrese che riunisse tutti i territori ricompresi nel distretto giudiziario di Catanzaro, fatta eccezione per Vibo Valentia e si rapportasse da pari a pari con l’omologa struttura reggina. È quanto emerge dalla relazione della Dna, che sottolinea come solo l’arresto e il prolungato stato di detenzione abbiano impedito a “Manuzza” Grande Aracri di coltivare pericolose velleità per gli equilibri criminali della regione. «Punto focale di tale progetto organizzativo, cui mirava Nicolino Grande Aracri, era la partecipazione in tale nuova struttura verticistica, anch’essa denominata Provincia, degli esponenti apicali di alcune delle più importanti locali di ‘ndrangheta del territorio crotonese, quali quella di Isola Capo Rizzuto, che ha dimostrato avere rapporti con la Germania per interessi nel settore delle energie alternative, quella di Belvedere Spinello, particolarmente attiva nel traffico di sostanze stupefacenti con il Belgio e l’Olanda, quella di Petilia Policastro, connotata dal monopolio assoluto del mercato dell’uva e delle castagne, quella di San Leonardo di Cutro, attiva nella imposizione di prodotti agricoli e vinicoli e con interessi non solo sul territorio nazionale ma anche in Germania, quella catanzarese e via dicendo, con rapporti e collaborazioni con gruppi ‘ndranghetisti di primo piano del reggino e, più in particolare, della contigua locride».
Una ragnatela di clan, che senza Nicolino Grande Aracri, finito dietro le sbarre, ha iniziato a disgregarsi, ricompattandosi attorno alle antiche e consolidate alleanze, come quella fra gli Arena e i Papaniciari. «Negli ultimi anni – si legge nella relazione – gli assetti criminali sul territorio sono risultati connotati da un rilevante dinamismo dipendente, di volta in volta, dalle operazioni giudiziarie che hanno portato all’arresto di intere compagini criminali, così lasciando campo aperto all’espansione degli altri gruppi delinquenziali».
Ad esempio, nella zona di Crotone, spiegano i magistrati, in una prima fase, allo stato di libertà di Nicolino Grande Aracri di Cutro aveva corrisposto lo stato detentivo di Marincola Cataldo di Cirò, di Megna Domenico di Papanice e di Arena Giuseppe (cl. 61) di Isola Capo Rizzuto, mentre in una seconda, tuttora in corso, allo stato detentivo del primo corrisponde, attualmente, lo stato di libertà degli ultimi due. Un avvicendamento che ha avuto evidenti ricadute sugli equilibri delle dinamiche criminali dell’area, ma non ha mai mutilato la strategica attenzione per l’espansione delle attività criminali in una dimensione nazionale ed internazionale.
«Invero – evidenzia la Dna – le organizzazioni di ‘ndrangheta operanti nel territorio del Distretto di Catanzaro sono risultate, ancora oggi, direttamente interessate alle dinamiche criminali dei maggiori gruppi operanti nel Nord Italia che costituiscono proiezione delle cosche di origine e con cui, pure in presenza, spesso, di una loro piena soggettività ed autonomia operativa, mantengono ben salde le relazioni, sin dalla iniziale richiesta di legittimazione, e di cui spesso si servono per continuare a gestire, a volte in autonomia a volte secondo sistematiche e periodiche direttive, importanti investimenti finanziari».
Non a caso le indagini hanno svelato vari e rilevantissimi collegamenti della ‘ndrangheta del vibonese con il Lazio e la Lombardia, della ‘ndrangheta del crotonese con la Lombardia, con l’Emilia e con il Veneto, della ‘ndrangheta del basso ionio catanzarese con il Lazio e la Lombardia, della ‘ndrangheta del lametino con il Veneto. Discorso a parte merita il progressivo insediamento dei clan in Emilia, dove «la ‘ndrangheta sembra ridursi alla ‘ndrina di Cutro, facente capo a Grande Aracri Nicolino, che nel territorio settentrionale in cui si è espansa, ha attuato il sistema della colonizzazione, intendendosi con tale termine la formazione di “locali” nel territorio di espansione».
Un territorio ricco di occasioni e di appalti – soprattutto nel post terremoto – che i cutresi non hanno però potuto monopolizzare, dovendo fare i conti con l’ingombrante presenza dei casalesi con cui ha preferito stringere accordi e affari, arrivando ad emulare modi e metodi di presenza sul territorio. «Tutto ciò – affermano dalla Dna – ha comportatoè l’ulteriore effetto del confondersi e/o fondersi delle modalità di comportamento».
Ma l’infiltrazione si propagata anche oltre i confini nazionali. «Le cosche catanzaresi, in particolare, hanno sfruttato la presenza di emigrati calabresi in Germania e sono emersi loro interessi nel settore delle aste floricole e della ristorazione in Olanda. Collegamenti sono emersi anche con la Romania, la Slovenia e l’Australia, data anche qui la forte presenza di emigrati calabresi».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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