No! Non è stata per niente una passeggiata. Né per la commissione Antimafia, né per l’ex ministro Maria Carmela Lanzetta. La sua audizione è stata secretata ma non certo per i contenuti investigativi, tutt’altro che clamorosi o inediti, quanto per gli imbarazzanti risvolti politici che l’hanno preceduta e che, inevitabilmente, la seguiranno.
Intanto va chiarito subito che la richiesta di andare in seduta segreta è venuta proprio da Maria Carmela Lanzetta. La presidente Bindi non ne vedeva le ragioni e, anzi, ha provato a convincerla a desistere dalla richiesta. Niente da fare, l’ex ministro ha posto la questione immediatamente dopo essersi seduta al fianco della presidente Bindi ed è rimasta rigida nella sua richiesta.
E tuttavia proprio per la mancanza nel corso dell’intera audizione, iniziata alle 8:35 del mattino, di alcun riferimento a fatti oggetto di indagine o a esternazioni delicate sul fronte della ‘ndrangheta, dei suoi interessi e del suo operato, sui taccuini dei cronisti i dettagli dell’audizione sono finiti in maniera copiosa. E se nulla di particolare c’è sul fronte istituzionale, moltissimo si coglie, invece, su quello politico con aspri contrasti intervenuti tra l’ex ministro e la presidente Bindi e, successivamente, tra la stessa Lanzetta e alcuni commissari, in particolare con i deputati Enza Bruno Bossio ed Ernesto Magorno.
Procediamo con ordine. Si inizia proprio con un acceso contrasto tra Maria Carmela Lanzetta e Rosy Bindi. Lo si deve al fatto che l’ex ministro ha aperto la sua deposizione facendo riferimento alle ragioni per le quali «ho parlato con la presidente Bindi per chiedere di essere ascoltata». Rosy Bindi la blocca immediatamente, le mette una mano sul braccio e precisa: «Un attimo, chiariamo subito una cosa, io e te non ci siamo sentite affatto, tu con me non hai parlato». Lanzetta è costretta a confermare: «È vero non mi hai risposto alla telefonata e io, per questo, ti ho mandato un sms…». Riprende Bindi: «In risposta al tuo messaggio sei stata contattata dal segretario della Commissione ed è stata calendarizzata la tua escussione, perché mi pare chiaro – e deve essere chiaro – che non si parla con la presidente ma con la Commissione».
Insomma, su una cosa almeno è stata fatta chiarezza: a chiedere di essere sentita è stata Maria Carmela Lanzetta. Superato il punto, l’ex ministro ha potuto leggere una lunga relazione che aveva scritto in precedenza. Nessun elemento di novità in quella relazione, ma soltanto la meticolosa e puntuale ricostruzione dei vari attentati, dall’incendio della sua farmacia agli spari contro la sua autovettura, che Maria Carmela Lanzetta ha dovuto subire quando era in carica come sindaco di Monasterace. Poi il chiarimento sulla matrice mafiosa di quegli attentati e sulla riconducibilità degli stessi all’attività di sindaco piuttosto che non a quella di farmacista. Un dettaglio di non poco conto, se si fa riferimento a un comprensorio, la Locride, dove i farmacisti sono stati da sempre una categoria bersagliata dalle cosche: otto di loro sono state vittime di sequestri di persona. Due non sono mai tornati a casa essendo morti in mano ai rapitori. Altri due sono stati feriti in tentativi di rapina o di sequestro, mentre sedici hanno subìto estorsioni.
E qui, si incastra la seconda intervista al Corriere della Sera, quella – per intenderci – dove l’allora ministro sembra fare retromarcia rispetto al ruolo della ‘ndrangheta come mandante degli attentati subìti. E sempre qui arriva anche il secondo incidente nel corso dell’audizione perché, a giustificazione della sua risposta (« … un momento, che c’entra la ‘ndrangheta… io non ho mai sostenuto che dietro gli attentati ci fosse la ‘ndrangheta») data al giornalista del Corriere, Maria Carmela Lanzetta oggi ha detto: «Eravamo in agosto, il governo stava attraversando un momento difficile e io feci quell’intervista al telefono e non volevo acuire la situazione». Prontamente viene fermata dalla presidente Bindi: «Scusa ma sono costretta a contraddirti, abbiamo qui il testo dell’intervista e non eravamo in agosto, venne pubblicata il due di novembre». Lanzetta si corregge: «Scusate, non mi sono documentata». Magorno sbotta: «Ma come… chiede di essere sentita, viene qui e non ritiene utile documentarsi?».
Imbarazzo alle stelle e si prosegue arrivando, finalmente, al “caso De Gaetano”. Per Maria Carmela Lanzetta la presenza in giunta di Nino De Gaetano – per le note vicende che lo collegano a un’indagine su ipotesi di voto di scambio avendo goduto, su intercessione del suo defunto suocero, del presunto appoggio politico del clan Tegano – toglie credibilità al Pd davanti ai calabresi. Ben per questo lei non ha accettato la nomina ad assessore regionale fattale da Mario Oliverio.
E si va allo scontro con Enza Bruno Bossio: «Sai che ti sono stata personalmente vicina ma esistono in questo Paese tre distinti poteri e non penso che il potere politico possa essere condizionato da un’informativa di reato, ben altro sarebbe, ovviamente, una sentenza dell’autorità giudiziaria e comunque stai dicendo cose per le quali immagino che Nino De Gaetano intenderà querelarti…».
Energica difesa di Maria Carmela Lanzetta: «Non vedo come dovrebbe querelarmi… io non lo accuso di nulla, né sostengo che lui si sia rivolto alla ‘ndrangheta per essere eletto. Faccio una valutazione politica». Magorno sbotta nuovamente: «Ma che c’entrano le valutazioni politiche… La Commissione ha tutto l’interesse ad acquisire qualsiasi elemento sulla vicenda ma che siano elementi, fatti, non valutazioni …».
E qui cala il sipario su una vicenda che pare essere nata solo per dare ragione a Ennio Flaiano quando commentava: « …La situazione è grave ma non è seria».
x
x