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La violenza sulle donne vista dagli uomini

COSENZA Il teatro “Morelli” è in fermento dopo “Polvere”, la nuova produzione di “Scena Verticale” di e con Saverio La Ruina e Jo Lattari, andata in scena giovedì sera a Cosenza. Lo spettacolo è un…

Pubblicato il: 27/02/2015 – 13:39
La violenza sulle donne vista dagli uomini

COSENZA Il teatro “Morelli” è in fermento dopo “Polvere”, la nuova produzione di “Scena Verticale” di e con Saverio La Ruina e Jo Lattari, andata in scena giovedì sera a Cosenza. Lo spettacolo è una novità per il pubblico che ha conosciuto l’attore e regista castrovillarese come “Pasqualina” e “Vittoria”, i due personaggi femminili di “Dissonorata” e “La Borto”. Stavolta, anche se veste i panni di un uomo, l’artista si cala in questo nuovo progetto sempre privilegiando il mondo delle donne. “Polvere” è la violenza silente, perpetuata molto prima nelle parole scortesi, negli atteggiamenti prepotenti, nella paranoia che depaupera l’anima della donna e, solo in un secondo momento, arriva a colpirne anche il corpo. Lo spettacolo affronta la violenza sulle donne da un punto di vista maschile, perché come dice il regista «la violenza sulle donne è sempre un problema degli uomini». L’incontro con i due interpreti arriva dopo un’attesa di qualche minuto, necessaria a smaltire la lunga fila davanti ai camerini.
Saverio La Ruina, perché “Polvere”?
«Perché quello che succede all’interno di certi rapporti è un po’ invisibile, nel senso che non ti rendi conto che la fine comincia con cose piccole che sembrano innocue, ma che in realtà stanno facendo il loro lavoro. Goccia dopo goccia, nell’abbassare l’autostima di una persona, nello sminuirla, nello spersonalizzarla, tanto più questo processo vale, tanto più lui si impadronisce della donna, la sottomette, quindi domina la situazione e, di conseguenza, dovrebbe sentirsi più sicuro. In realtà non basta mai, perché questo disagio è dentro di lui. Sentendo molte donne, ho notato che il problema è che loro non si rendono conto di ciò che accade, ma pensando a cose successe giorni prima si chiedono: “Ma ha fatto veramente quella cosa? Ma l’ha detta veramente? Ma non è che l’ho provocata io?”. Il fatto è che le cose si offuscano, che questo pulviscolo, in qualche modo, annebbia la vista, offusca le percezione delle cose».
Ci sono delle situazioni in cui ci si mette nella situazione di porsi come causa di propri mali?
«Come no. Questa cosa l’ho sentita dire tante volte. Addirittura ho letto storie di donne che hanno creato un proprio diario in cui annotavano gli atteggiamenti e le risposte dei propri compagni e, a distanza di giorni, in cui il dubbio le assaliva, lo rileggevano e dicevano: “No, questa cosa è successa veramente”, perché loro erano capacissimi di cambiare le carte in tavola. Se non ti guardi dal di fuori, sei dentro questo pulviscolo e a quel punto perdi la realtà di tutto quello che succede».
Dopo “Dissonorata” e “La Borto”, affronta uno spettacolo in veste maschile. Come si è preparato a questo tipo di lavoro e come l’ha affrontato?
«Intanto non potevo più fare una donna, ne ho fatte troppe. Ho scelto questo lavoro perché è venuto un po’ naturale. Forse se non avessi fatto “Dissonorata” e “La Borto”, non avrei mai fatto questo. Queste donne, tanto amate, di cui non abbiamo avuto voce, che per me erano donne importantissime, ma che rimanevano invisibile e senza voce, in distacco con i loro uomini, erano figure poetiche potentissime e struggenti. Quando entri nel mondo femminile così, focalizzando situazioni di qualche decennio fa, anche se sono ancora nel retaggio di oggi, capita che tante donne arrivino a dirti: “Però tu dovresti fare una cosa sulle donne oggi. Con la tua sensibilità lo puoi raccontare, e sarebbe importante perché fatto da un uomo”. Me lo disse anche Serena Dandini: “Perché il problema è che siamo tante, ma alla fine siamo sempre noi donne”. È importante che sia un uomo a parlarne, perché questo è un problema da uomo, non te lo risolvi da donna».
Lei ha collaborato con Jo Lattari. Come è stato lavorare per la prima volta con una donna?
« Il testo è mio, ma c’è stato un contributo alla drammaturgia che ho visto come confronto prezioso tra noi. Ho scoperto Jo a un laboratorio in cui abbiamo lavorato molto bene. Aveva una sensibilità molto forte con un grande senso della scena. È stata una bellissima scoperta. Abbiamo fatto tutto un periodo di lavoro a casa mia, in pochissimo tempo. Le cose sono state create così, nella quotidianità dei gesti come fumare una sigaretta o fare il caffè. Si è creata un’intesa molto bella e colloquiale, nelle azioni normali di casa».
Che risposte avete avuto dalle repliche in Italia durante la tournée?
«È stato molto forte. La cosa più eclatante è stata a Milano quando, la voce di una donna dalla platea ha detto: “Sparagli. Sparagli”. Lì, mi sono sentito gelare il sangue. Ci sono reazioni emotive catartiche, anche da parte degli uomini che mi hanno detto: “Per me è stato terapeutico. Ho dovuto fare i conti con me stesso”. Se poi ti fermi un attimo a riflettere, ti interroghi sulla tua vita, i tuoi comportamenti».
Jo Lattari, da donna come ha lavorato per portare a termine questo progetto? Come si è rapportata a questa situazione?
«Io ho attinto, non essendo un’attrice professionista, a fare un lavoro di pancia. Sono andata a pescare un po’ dal mio vissuto di donna e un po’ dai racconti che tra amiche si fa molto. Tante volte mi è capitato di vedere coppie in cui, donne straordinarie, realizzate e forti, si trovavano con degli uomini che le annullavano totalmente e quindi ho iniziato a interrogarmi su cose piccole che vedevo attorno a me. Poi con Saverio abbiamo fatto anche un lavoro aiutandoci in questo: cercare in noi, in Jo e Saverio, quanta polvere ci fosse. In questo ci siamo molto spalleggiati, anche perché Saverio ha una sensibilità femminile e un’attenzione verso il femminile, come ha già avuto modo di dimostrare, che mi è stato di grande aiuto. Quindi ho lavorato attingendo alla vita».
Ci sono stati dei momenti in cui ha avuto maggiore difficoltà a immedesimarsi con il personaggio?
«È stato non difficile, però abbastanza laborioso, creare in lei questo spegnimento graduale. Ci siamo chiesto se farlo in una maniera più evidente con i vestiti, poi lentamente siamo andati verso la semplicità, cioè che questa donna venga scarnificata con piccoli cambiamenti: la collana e gli orecchini che spariscono, i capelli legati, questo maglione orrendo alla fine, cercare anche una voce diversa, un corpo diverso. Come creare il cambiamento di lei che è solare, che va alle feste con gli amici, che ama leggere, e poi alla fine è una donna che sta in casa e aspetta che lui le chieda un thè o aspetta la sua telefonata. La situazione ha un crescendo che parte dal nulla, quasi da una situazione banale e lì c’è stata una ricerca di entrambi di mostrare la perdita di lei e lo strapotere di lui, anche se è un uomo molto sofferente e alla fine non si sa chi vince. Quello è stato un elemento da sedersi a tavolini e studiarlo, non difficile, ma da studiare con attenzione. È stato il lavoro più grosso».
La frase più sconvolgente forse è stata: «Dimmi quello che devo dire e io lo dico; dimmi quello che devo fare e io lo faccio».
«Sì, quello è stato il frutto di un’improvvisazione. Penso che soprattutto il lavoro che lui fa, che tanti uomini, ma devo dire anche tante donne fanno, sia dirsi tutto sul proprio passato e poi rinfacciarselo, come un boomerang che ti torna in fronte, non subito, magari dopo anni, ma ti torna sempre. Ti viene voglia di dire: “Vorrei non avere un passato” oppure “mettimi in bocca le parole che vuoi sentirti dire, così evitiamo di discutere per tre ore».
Lei è la prima donna che lavora con “Scena Verticale”. Che effetto le fa?
«È un onore. Io ho sempre frequentato il “More” da spettatrice affezionatissima ai “Venerdì”. Ero sempre aggiornata sui laboratori quindi, quando ho sentito che Saverio faceva un laboratorio, sono stata curiosissima di lavorarci assieme, mai immaginando che poi diventasse un lavoro, soprattutto perché non sono un’attrice di professione
».
Quali effetti ha avuto uno spettacolo come “Polvere”, nel pubblico italiano?
«Siamo partiti da Milano, siamo stati in teatri importanti con i critici ai primi posti. A Roma una donna ha urlato: “Sparagli”. A volte capita che la gente rida per prendere le distanze da una cosa che se la guardi veramente ti fa male e forse ti riconosci, e ti dà fastidio farlo. È una cosa che smuove e i modi di reagire sono tanti. A Milano e anche a Roma c’era tanto chiacchierare: “No, basta, ma lascialo, scappa, sparagli”. Renato Palazzi de Il Sole 24 Ore ha detto a Saverio: “Mi veniva voglia di entrare dentro come nelle sceneggiate napoletane e armare la mano di questa ragazza”».

 

Miriam Guinea

 

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