«Appartengo alla generazione dei trentenni. Una generazione con un avvenire ormai alle spalle». La lettera, recapitata lo scorso 11 febbraio a Carlo Guccione e Mario Oliverio, comincia proprio così. A scriverla un 35enne mosso, più che da un sussulto di pessimismo leopardiano, dall’amara realtà con cui si sta scontrando quotidianamente. E come lui tanti, troppi ragazzi che, dopo aver passato anni sui libri a studiare e specializzarsi, si trovano nella non invidiabile condizione di dover trovare un la- voro in Calabria. Ma quella dell’autore della lettera non è una storia di disoccupazione giovanile come tante altre. C’è di peggio, perché nel suo caso al dramma della cronica mancanza di lavoro si aggiunge l’inefficienza della pubblica amministrazione, che da queste parti ha la poco edificabile abilità di promuovere progetti che poi finiscono puntualmente per generare le devianze che quelle stesse iniziative avrebbero dovuto debellare.
È la situazione in cui si trovano, ormai da quasi 4 anni, 180 giovani laureati che hanno aderito a “Lavori regolari”, un progetto «sperimentale e innovativo» portato avanti dalla Commissione regionale per l’emersione del lavoro non regolare di concerto con la Regione e con, almeno in una prima fase, la fondazione Field. Ma gli scopi del progetto, così come il nome stesso, oggi risultano assai beffardi. Perché i beneficiari del progetto sono bloccati ormai da 4 anni. E, se vogliono mantenersi, devono lavorare in nero.
(Il servizio completo, a firma di Sergio Pelaia, è pubblicato sul numero 190 del Corriere della Calabria in edicola fino al prossimo 5 marzo)
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