Ultimo aggiornamento alle 20:35
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 4 minuti
Cambia colore:
 

Tengo famiglia

di Paolo Pollichieni   Leo Longanesi, ironizzando, proponeva che il motto “Tengo famiglia” venisse inserito nel tricolore a dimostrazione della sua estrema “italianità”. Carlo Puca, al quale v…

Pubblicato il: 28/02/2015 – 5:00

di Paolo Pollichieni

 

Leo Longanesi, ironizzando, proponeva che il motto “Tengo famiglia” venisse inserito nel tricolore a dimostrazione della sua estrema “italianità”. Carlo Puca, al quale va riconosciuto il merito di aver trattato l’argomento con obiettività e anche con garbo, ne ha fatto il titolo di un libro che certamente non perde mai di attualità.

Lo stesso Puca, infatti, in un’intervista osservava: «Molti pensano che sono stato fortunato dato che il libro è uscito in concomitanza con lo scandalo romano della “parentopoli” all’Atac, l’azienda dei trasporti, ma questa non è affatto fortuna. Ok, il mese scorso c’è stata questa storia dell’Atac, ma un mese prima c’era lo scandalo della “rimborsopoli” nei consigli regionali, questo mese è scoppiata la “parentopoli” del Veneto, e tra un mese ce ne sarà sicuramente un’altra. Per cui dico: in questo Paese, il momento giusto per un libro come il mio è… sempre». E c’è un altro merito che volentieri va riconosciuto a Carlo Puca, quello di non aver guardato solo dalle parti della politica, visto che nelle sue pagine non mancano i personaggi del mondo dello spettacolo e un intero capitolo è poi dedicato al mondo del giornalismo, le cui redazioni pullulano di figli, nipoti e parenti vari. Insomma è difficile che sul tema oggi si possa trovare chi scagli la prima pietra. Ma c’è anche un altro modo di intendere il “tengo famiglia” e qui il discorso diventa più serio perché riguarda quei territori dove maggiore è la pressione della criminalità mafiosa. Lì il “tengo famiglia” assume contorni più marcati e drammatici perché è il freno alla libertà di denunciare i soprusi, di testimoniare contro chi li consuma, di dare la giusta solidarietà alle vittime. E, infatti, come non sottolineare il ricorso nelle intimidazioni mafiose a chiamare in ballo i tuoi figli, i tuoi parenti, gli affetti più cari? Ecco, su questo forse una riflessione in più è auspicabile soprattutto qui in Calabria dove sono sempre più gli amministratori pubblici, gli operatori dell’informazione, i sindacalisti, gli imprenditori e quanti con il loro lavoro ostacolano gli interessi mafiosi che vengono colpiti, minacciati, intimiditi facendo ricorso alla leva dei sentimenti e delle paure per le sorti dei propri familiari.

Nel nostro piccolo, anche noi del Corriere abbiamo qualche “colpa”, visto che abbiamo iniziato con “Casta Calabra” un libro-inchiesta che ha suscitato indignazione ma non è un libro arrabbiato, non c’è nessun livore. Più che altro è un libro che sfotte, a tratti pungente ma soprattutto pieno di ironia. Ed è, a considerarlo e rileggerlo quattro anni dopo, un libro assolutamente inutile, visto che personaggi e interpreti non hanno subìto alcuna conseguenza politica o amministrativa (figuriamoci giudiziaria…). Manager senza titolo erano e restano in sella. Direttori generali buoni per tutte le stagioni erano e restano al comando. Drenatori di risorse pubbliche continuano indisturbati nelle loro scorrerie. In qualche caso, nelle aziende sanitarie o nelle autorità portuali, cambiano la qualifica, escono da presidenti e ci ritornano da commissari oppure escono da direttori generali e ci ritornano da consulenti.
Il mondo dell’informazione, o meglio un certo mondo dell’informazione, si accorge di loro solo a fine mandato. Che Melissari, giusto per fare qualche esempio, non avesse i titoli per gestire Calabria Lavoro era scritto in “Casta Calabra” già nel 2010, il cronista di razza lo scopre nel 2015. È il “tengo famiglia” che rallenta i riflessi fino a rendere assolutamente non sincronizzati sulla realtà. Così come è il “tengo famiglia” che ci regala il ruggito del coniglio che scopre tutte le tangentopoli del Dopoguerra avutesi in riva allo Stretto, ma dimentica proprio la più clamorosa: quella che venne aperta dalle dichiarazioni di un sindaco “pentito”, Agatino Licandro, immortalata in ventisette faldoni giudiziari e riassunta in un libro-verità stampato per Einaudi che bollava Reggio come “La città dolente”.

Così capita che i cronisti rampanti, diretti discendenti di quei tangentisti di razza, si avventurino in crociate che poco si addicono all’etica del casato di provenienza. Tengono famiglia, appunto!

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del Mare, 65/3 S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano | Privacy
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x