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Calipari, dieci anni di dubbi

Sono passati dieci anni. Era il quattro marzo 2005. Nicola Calipari, uno degli investigatori più puri e onesti della polizia italiana, da quattro anni passato all'”intelligence” e diventato capo de…

Pubblicato il: 04/03/2015 – 6:55
Calipari, dieci anni di dubbi

Sono passati dieci anni. Era il quattro marzo 2005. Nicola Calipari, uno degli investigatori più puri e onesti della polizia italiana, da quattro anni passato all'”intelligence” e diventato capo della divisione ricerche del Sismi (Servizi segreti militari), cadeva sotto le sventagliate di mitra di un marine americano che stava dove non doveva stare: un posto di blocco non segnalato lungo l’autostrada che porta all’aeroporto di Baghdad. Cadeva, Nicola Calipari, vittima del fuoco “amico” e della sua generosità: ultimo atto, far scudo con il proprio corpo a quello di Giuliana Sgrena, giornalista de Il Manifesto, da lui appena liberata. Cadeva anche, è questo il dubbio che dieci anni di inchieste non hanno diradato ma semmai hanno rafforzato, vittima di quegli intrighi che travagliano i servizi al loro interno e nei rapporti con i loro pari.
A Forte Braschi oggi Nicola Calipari verrà ricordato in una cerimonia voluta dal direttore dell’Aise (così è stato ribattezzato l’ex Sismi) generale Alberto Manenti.
Ricorderanno, i suoi colleghi ancora in servizio e altri che rientreranno al “Forte” per un pomeriggio di malinconia, un uomo generoso e caratterizzato da un sorriso mite e triste. Ricorderanno un funzionario che aveva un solo difetto: mancava di cinismo.
Le polemiche resteranno fuori, ma alla vigilia hanno rifatto capolino per via di una discussa, e discutibile, intervista rilasciata ad Annalisa Chirico per Il Giornale dall’ex generale Nicolò Pollari, ex direttore del Sismi e arruolatore di Calipari.
L’attacco dell’intervista è coerente con la retorica tipica di questi eventi: «Calipari è stato un fedele servitore dello Stato che ha sacrificato la propria vita per il Paese. Quella sera a Baghdad, in un posto di blocco americano non segnalato, un soldato Usa sparò e Calipari fu colpito a morte. Il processo ha riconosciuto l’immunità funzionale in capo al militare e l’assenza di giurisdizione italiana. È la supremazia della legge». Sarà, ma resta il fatto che la commissione d’inchiesta accertò che la condotta tenuta dagli italiani fu limpida, quella dei marines alquanto opaca. Accertò che la Toyota sulla quale erano Nicola Calipari e Giuliana Sgrena aveva rispettato ogni misura di sicurezza e procedeva a velocità moderata, con i fari e la luce di cortesia accesi.

Nell’intervista, Pollari conferma questi dati e conferma anche che «esiste un’articolata e documentata inchiesta guidata dal generale Campregher e dal diplomatico Ragaglini dove sono riportati fatti mai smentiti». Conferma ancora che «nella relazione americana si parla di regole d’ingaggio non violate dai soldati americani ma i block point non hanno regole d’ingaggio». Detto questo, ribadisce: «Ciò detto, non convengo su alcuna tesi complottistica». Il fatto è che dopo dieci anni rompe il silenzio anche l’onorevole Rosa Calipari, vedova di Nicola. Lo fa con un libro-intervista (“Il mese più lungo”, Marsilio editore) scritto insieme all’ex direttore del Manifesto Gabriele Polo, nel quale definisce la direzione di Pollari al Sismi «ambigua, che agiva machiavellicamente su due linee strategiche opposte e alla fine contrapposte, un gioco che costerà la vita a Nicola».

Pollari non commenta e liquida la cosa con una battuta algida: «Ho rispetto per lei e per il suo dolore». Eppure il libro spiega la divaricazione in seno al Sismi tra Nicola Calipari e Marco Mancini: il primo a favore della trattativa invisa agli americani; il secondo favorevole al blitz. Incalzato, Pollari ammette di aver letto il libro e lo bolla: «Il libro tradisce una scarsissima conoscenza dei fatti. Entrambi erano titolati a occuparsi di quel dossier essendo Mancini direttore della divisione che si occupa di controterrorismo, controspionaggio e criminalità organizzata transnazionale; e Calipari direttore della Ricerca». E nega che quella sovrapposizione fosse indebita: «In Iraq agivano almeno tre articolazioni del servizio. Ciascuna seguiva uno o più percorsi operativi. Nel caso della Sgrena, vi erano una ventina di percorsi paralleli. La nostra forza era data dalle reti di intelligence di cui nessuno era monopolista esclusivo. Si è sempre rivelato vincente il lavoro d’equipe che ha portato all’arresto e alla condanna da parte della giustizia irachena dei sequestratori, tra gli altri, delle “due Simone”, di Florence Aubenas e della Sgrena».

Ancora Pollari, nell’intervista a Il Giornale, respinge l’accusa di avere impedito agli uomini di Calipari di andare a Baghdad a recuperarne il corpo, cose che consentì solo al suo rivale Marco Mancini. «Calipari e Mancini – assicura Pollari – erano amici, io stesso ho cenato con loro a casa di Mancini e so che i due si vedevano spesso in un ristorante siciliano della Capitale. Probabilmente erano competitor professionali».

E tuttavia una cosa Pollari è costretto ad ammetterla: «Dopo l’incidente gli americani negavano l’accesso a chiunque. Mancini riuscì a superare le resistenze, entrò nell’ospedale militare e fotografò di nascosto il cadavere del collega». In sostanza, una conferma del buon rapporto tra Mancini e i servizi americani, cosa che non accadeva con Calipari. Ma Rosa Calipari, nel libro, riferisce anche di un Marco Mancini molto legato alla “destra” e alla “politica in generale”, aggiungendo che proprio Pollari gli confidò: «Mancini me lo ha imposto la politica». Pollari lo nega: «Mancini era al Sismi dal 1984 ed era una risorsa importante nello scacchiere mediorientale. Io sono arrivato alla fine del 2001. Al Sismi invece ho portato Calipari che me ne ha fatto calorosa richiesta dichiarandosi insoddisfatto della propria posizione nella polizia. L’ho inquadrato come vicedirettore di divisione e l’ho poi promosso direttore».

Ma c’è un punto, mai chiarito, nella storia del Sismi, della direzione Pollari e di Marco Mancini che sembra messo lì proprio per confermare che la “politica” e la “destra” tenevano molto a Mancini, come riferisce oggi l’onorevole Calipari. C’è la storia della bomba ritrovata nei bagni di Palazzo San Giorgio, sede dell’amministrazione comunale di Reggio Calabria. La fece ritrovare una segnalazione del Sismi firmata proprio da Marco Mancini che pure non era mai sceso più a sud di Bologna, come servizio. Eravamo nell’autunno del 2004, Peppe Scopelliti era in caduta libera dopo appena tre anni dalla sua elezione a sindaco ed era alle prese con le prime inchieste giudiziarie. Il ritrovamento di quella bomba cambiò il corso di molte cose. Verrà ritrovata alle 22.30 del 6 ottobre 2004. Tre panetti di esplosivo collegati a un detonatore che però era privo di innesto, il che rendeva la bomba assolutamente inoffensiva. La cosa più singolare, però, risiedeva nel fatto che già un giorno prima che la bomba fosse rinvenuta il prefetto aveva convocato il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza e aveva assegnato macchina blindata e scorta al sindaco Scopelliti dicendo, appunto, che era a rischio attentato.

Tutto questo avveniva a Reggio Calabria, città di Nicola Calipari e dove Nicola Calipari aveva iniziato la sua attività nella polizia di Stato. Nicola Calipari morirà a Baghdad quattro mesi più tardi.

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