REGGIO CALABRIA Risponderà a piede libero della gravi accuse che la Dda di Milano ha mosso contro di lui nell’ambito dell’inchiesta “Insubria”, Luca Mandaglio, figlio di Antonio Mandaglio, per gli inquirenti caposocietà di Calolziocorte, locale espressione delle ‘ndrine di Giffone a Milano. Su istanza dei difensori di Mandaglio, gli avvocati Andrea Alvaro del foro di Palmi e Roberta Cantoni del foro di Milano, il gip Simone Luerti ha infatti scarcerato il trentenne di origini calabresi, ritenendo il quadro indiziario insufficiente a giustificarne la detenzione. Nella tarda serata di ieri, Mandaglio ha dunque lasciato il carcere di Opera dove era detenuto e affronterà da uomo libero il procedimento con rito abbreviato, il cui inizio verrà fissato a breve dal gip. Arrestato in novembre assieme al padre Antonio, detto Occhiazzi, per gli inquirenti Luca Mandaglio era uno dei principali elementi fra le nuove leve dei locali di Fino Mornasco, Calolziocorte e Cermenate. Strutture disarticolate nei primi anni Novanta dall’operazione “Fiori nella notte di San Vito”, ma che avevano ricominciato a strutturarsi e operare una volta che sgarristi e vangelisti, arrestati all’epoca, avevano finito di scontare le condanne rimediate. Un dato che non solo conferma l’affermazione della Suprema Corte – secondo cui «la ‘ndrangheta è un’associazione mafiosa che richiede ai partecipi la loro definitiva adesione fino a quando non abiurino o vengano a morte» –, ma soprattutto che le ‘ndrine sono entrate da tempo nel tessuto sociale connettivo della Lombardia, di cui oggi a pieno titolo fanno parte. «La ‘ndrangheta – sintetizzava infatti il gip nell’ordinanza di custodia cautelare – è radicata nel territorio lombardo, cioè ne costituisce una presenza stabile e costante. Ciò ovviamente ne determina una forma di visibilità e riconoscimento. Si è pertanto superata la logica dell’infiltrazione, intesa come sporadico inserimento dei mafiosi in traffici illeciti e a essa è subentrato il radicamento». Un’evoluzione che ha trasformato qualitativamente la presenza della ‘ndrangheta in Lombardia, facendo sì che i clan non fossero un’escrescenza estranea, ma un elemento ormai integrato nella società, nell’economia, nella politica lombarda, pur se sempre dipendente dalla casa madre calabrese. Per i locali di Fino Mornasco, Calolziocorte, Cermenate – secondo le indagini – il riferimento al Sud era Giffone e il suo locale di ‘ndrangheta, di cui Giuseppe La Rosa, detto “Peppe la mucca” era la massima espressione.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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