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La Calabria frana, ma il Commissario parla solo siciliano

L’Italia frana, i soldi per contrastare il grave dissesto idrogeologico ci sono ma non vengono spesi. Nel 70% dei casi siamo in assenza di alcuna progettazione ma anche dove la progettazione esiste…

Pubblicato il: 09/03/2015 – 11:36
La Calabria frana, ma il Commissario parla solo siciliano

L’Italia frana, i soldi per contrastare il grave dissesto idrogeologico ci sono ma non vengono spesi. Nel 70% dei casi siamo in assenza di alcuna progettazione ma anche dove la progettazione esiste ben 9 opere su 10 sono bloccate. I dati emergono da una inchiesta pubblicata su La Stampa a firma di Giuseppe Salvaggiulo che dedica alla Calabria un particolare passaggio.
Per anni, dopo ogni tragedia legata al dissesto idrogeologico, politici nazionali e amministratori locali ci hanno raccontato che non c’erano i soldi necessari a rendere sicuro un Paese fragile. I professionisti della giaculatoria da talk show hanno aizzato popolazioni ferite dai lutti, reclamando quattrini per la giusta causa della difesa del suolo. Ma ora che i soldi sono stati finalmente trovati (e non pochi), scopriamo che i lavori non partono per un altro motivo. «In trent’anni di lacrime e convegni – sottolinea Salvaggiulo – non sono stati realizzati i progetti. Non hanno trovato il tempo per mettere nero su bianco un disegno, un calcolo ingegneristico, uno studio geologico. Oltre 7000 cantieri potrebbero essere aperti domani, invece nel 90% dei casi se ne riparlerà tra cinque anni. È tempo che in media passa per approvare il progetto esecutivo di un’opera pubblica».
Il dipartimento difesa del suolo, censisce frane e inondazioni che, nel dopoguerra, hanno colpito 2.458 comuni in tutte le regioni, causando 5.455 morti, 98 dispersi, 752.000 famiglie sfollate e 3,5 miliardi di euro di danni all’anno. Porta avanti due esempi, l’inchiesta apparsa su La Stampa. Quello di Olbia, che nel novembre 2013 pianse 13 delle 18 vittime dell’alluvione sarda: «Potrebbe spendere subito 150 milioni per risanare un paesaggio urbano devastato dalla speculazione edilizia di sedici quartieri abusivi. Ma non ha un solo progetto pronto». E quello della Calabria: «Si potrebbe salvare il Comune di Petilia Policastro, dov’è franato un intero quartiere collinare con 800 abitanti: peccato che per tutte quelle villette non si sia riuscita a trovare una sola licenza edilizia. E ci sono milioni di euro a disposizione dal 2010 per evitare che il Crati seppellisca periodicamente di fango il Parco archeologico di Sibari, tra i più importanti della Magna Grecia, con reperti del 720 a.C. Ma non si possono spendere, perché incredibilmente i terreni fluviali sono stati privatizzati e trasformati in agrumeti, con tanti saluti alla prevenzione».
Le amare sorprese però non finiscono qui: «Trent’anni persi senza fare niente», sospira Erasmo D’Angelis, a capo dell’unità di missione sul dissesto idrogeologico insediata a Palazzo Chigi otto mesi fa. I dieci esperti si sono ritrovati di fronte a situazioni paradossali, come l’esistenza di 13 diversi monitoraggi del settore (ministeri, dipartimenti, organismi, istituti di ricerca…). Tutti indipendenti e non comunicanti tra loro, con risultati disastrosi. «Tante verità, nessuna verità», sintetizza D’Angelis. Dunque la prima conquista è stata l’unificazione delle banche dati. La seconda l’accentramento delle competenze sparpagliate tra 3600 diversi enti e la semplificazione delle procedure incagliate in 1200 norme sedimentate in trent’anni, con conferenze di servizi a cui partecipano venticinque soggetti diversi con potere di veto e tempi biblici (34 mesi in media) per una valutazione di impatto ambientale. Questo «disboscamento burocratico» ha evidenziato l’esistenza di 2 miliardi di euro stanziati per opere cantierabili e non spesi per pasticci burocratici. E in pochi mesi sono stati sbloccati 700 cantieri. Un’altra scoperta ha lasciato allibiti gli esperti della task force: non esisteva un piano nazionale sul dissesto idrogeologico. Tutti quelli strombazzati negli anni scorsi erano collage di vaghe stime senza fondamento scientifico: servirebbero 65 miliardi, anzi 50, no forse 40. Ma nessuno aveva mai redatto un elenco dettagliato di opere e costi. Ora un conteggio preciso c’è: le opere necessarie sono 7100 e costano 21,5 miliardi. Su questa base, la task force ha individuato con la Ragioneria generale dello Stato il meccanismo finanziario per mettere a disposizione 9 miliardi di euro nei prossimi sette anni. Il sistema è semplice: appena un’opera può partire, arrivano i soldi. Purtroppo su 7100 opere messe in agenda, quasi 6300 non hanno progetti esecutivi. E quindi non possono partire.
Torniamo a casa nostra: in Calabria esiste dal 25 novembre del 2010 un “Ufficio del commissario straordinario delegato per l’attuazione degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico nella Regione Calabria”. Soldi ne ha spesi tanti, ma appalti ne ha banditi pochi. È un commissariamento che parla poco e quel poco che parla è solo in stretto dialetto siciliano, almeno a giudicare dal fatto che le gare mandate in appalto al 100% se le aggiudicano imprese siciliane, ovviamente è solo una coincidenza con la sicilianità anche dei commissari che si sono succeduti.
Il governatore Mario Oliverio, da presidente della Provincia di Cosenza, ebbe modo di polemizzare duramente contro l’inerzia del Commissario, rivendicando il fatto che i soldi non venivano spesi, o venivano dilapidati in consulenze e gadget, mentre le alluvioni e le frane continuava a far danni. Chiese di essere nominato lui stesso commissario almeno per la parte cosentina. Non se ne fece nulla ma oggi Oliverio può tornare in partita. Prima del suo insediamento ai vertici della Regione Calabria, in fretta e furia, si sono dati da fare per nominare un nuovo commissario (sicilianissimo anche questo) che ha messo in moto qualche bando di gara. Insediatosi a Palazzo Alemanni, Oliverio ha avviato le prime verifiche e in conferenza stampa ha evidenziato come «ogni volta che chiedi una carta o verifichi un ente scoperchi una fogna». Immaginiamo cosa verrà fuori se Oliverio deciderà di vedere chiaro nelle segrete stanze di via Crispi a Catanzaro, dove il commissario ha stabilito la sua sede locale. Oppure in quelle di via Campanella a Reggio Calabria, dove lo stesso Commissario ha invece sistemato la sua “sede operativa”. Sì, perché per gli affari legali si può restare a Catanzaro ma per l’operatività meglio Reggio: è più contigua rispetto alla Sicilia…

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