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Atam, ecco come hanno mandato a fondo la società

REGGIO CALABRIA Il linguaggio è freddo, oggettivo, quasi burocratico, è impossibile rintracciare commenti o coloriture, ma quella messa nero su bianco dalla società Pricewaterhouse Coopers è una co…

Pubblicato il: 12/03/2015 – 2:00
Atam, ecco come hanno mandato a fondo la società

REGGIO CALABRIA Il linguaggio è freddo, oggettivo, quasi burocratico, è impossibile rintracciare commenti o coloriture, ma quella messa nero su bianco dalla società Pricewaterhouse Coopers è una condanna senza appello, né sconti, degli amministratori che negli ultimi dieci anni si sono avvicendati alla guida di Atam, la municipalizzata del trasporto pubblico per cui la Procura di Reggio Calabria qualche mese fa ha chiesto il fallimento. Nel mirino nella nota società di revisione contabile, sono finite le gestioni dell’ex sindaco sciolto per mafia, promosso in seguito ad assessore regionale, Demetrio Arena, e del suo storico braccio destro in azienda, Vincenzo Filardo, che dal 2002 al 2013 si sono avvicendati alla guida dell’azienda.

Amministratore unico dal 2003 al 2011 con Filardo come direttore generale, Arena ha poi “lasciato” l’oneroso incarico di gestire la strategica azienda cittadina al suo dg fino al luglio 2013, quando a gestire il bubbone Atam è stato chiamato il professore Antonio Gatto. A lui, l’assemblea ordinaria dell’azienda, controllata dal Comune di Reggio Calabria, ha dato mandato di procedere con un’azione di responsabilità civile nei confronti degli ex amministratori. A loro carico, gli elementi erano emersi già nell’informativa della Guardia di finanza alla base dell’indagine del pm Stefano Musolino, ma oggi la perizia di Pricewaterhouse sembra condannarli senza appello. Per la nota società di revisione, è infatti tra il 2003 e il 2011 che le debolezze dell’azienda sono diventate un cancro, ignorato, lasciato crescere fino a invadere quanto di sano ci fosse nell’intera struttura. E il quadro – già drammatico – potrebbe non essere completo. «Alla data della presente relazione – si sottolinea infatti – non è stata ottenuta tutta la necessaria documentazione per il completamento delle procedure pianificate. La società non dispone di uno scadenziario crediti e pertanto non sono disponibili dettagliate informazioni in merito all’anzianità». E proprio l’enorme mole di crediti inesigibili è una delle zavorre che ha fatto sprofondare il bilancio dell’Atam.

QUEI SOLDI CHE NESSUNO VERSERÀ
Come già evidenziato dai finanzieri, nella voce attivo dei bilanci della ditta per anni sono finiti crediti inesistenti o inesigibili per milioni, che hanno fornito all’amministrazione la possibilità di compensare almeno formalmente le uscite e presentare bilanci pressoché in pareggio. Ma di quei soldi Atam non ne avrebbe mai visto traccia e gli amministratori ne erano perfettamente coscienti. «A tale riguardo – si legge infatti nella relazione alla presenza del collegio sindacale, la dottoressa Romeo (responsabile del dipartimento finanze, ndr) ci ha confermato di aver più volte proposto al dg svalutazioni parziali dei crediti versola Regione Calabria di particolare vetustà e che, nonostante questo, i crediti sono stati mantenuti in bilancio al loro valore nominale».

Un metodo non dissimile da quello che ha fatto saltare i conti di Palazzo San Giorgio e che in Atam è stato possibile anche senza necessità di articolati artifizi perché – sottolinea Pricewaterhouse – «la società non dispone di una procedura formalizzata per la valutazione, in sede di chiusura di bilancio, dei crediti iscritti in contabilità. Tale valutazione viene effettuata sulla base delle indicazioni fornite dagli amministratori». Amministratori che, a quanto pare, si sono rivelati sordi non solo alle indicazioni di tecnici e funzionari, ma anche a sentenze e normative di riferimento. «A conferma di ciò – si legge nella relazione – si evidenzia come la società abbia ha ricevuto in diverse occasioni risposte negative da parte dello stesso ente Regione Calabria in merito al riconoscimento dei crediti iscritti in bilancio e come le azioni tentate per il recupero degli stessi siano state rigettate dagli organi competenti (Tar, presidente della Repubblica) o risultino ancora pendenti. Si aggiunge, inoltre, che per le caratteristiche sopra descritte tali crediti non presentavano probabilmente già ab origine sufficienti elementi di certezza per consentirne l’iscrizione in bilancio».

 

GLI AUTOBUS IMMORTALI
Il vintage, si sa, va di moda, ma forse qualcuno nel fare i conti all’Atam potrebbe aver preso l’affermazione troppo alla lettera. E così nei bilanci del 2012, alla voce patrimonio aziendale, figurano anche quei 42 autobus degli anni Novanta, opportunamente chiusi in deposito e non circolanti, ma il cui valore è stato calcolato in 5,1 milioni di euro. Peccato che una perizia dello stesso anno avesse sottolineato come quei mezzi vecchi e obsoleti non potessero essere valutati per più di 3,6 milioni.

«Si segnala, in ogni caso – aggiunge la società di revisione – che trattandosi di cespiti acquistati nel corso degli anni 1995 e 1998, essendo l’aliquota di ammortamento applicabile del 8,33% (12 anni), gli stessi avrebbero dovuto aver già completato il processo di ammortamento e pertanto non si giustifica la presenza di valori contabili a fine 2012». In sintesi, in bilancio non avrebbero dovuto neanche starci. Allo stesso modo, per i revisori mai e poi mai gli amministratori di Atam avrebbe dovuto continuare ad assumere, finendo per potenziare il proprio personale del 35% senza però un corrispondente aumento dell’attività o dei guadagni. «Nonostante il citato incremento delle risorse di personale dell’area produttiva, la società – bacchetta Pricewaterhouse – non è riuscita a ottenere risultati operativi positivi e pertanto si segnala l’apparente incoerenza di scelte aziendali di continuo incremento della forza lavoro». Politiche che nel periodo 2008-2012 hanno portato il costo medio per dipendente personale a incidere per l’80% sul valore della produzione a fronte del 52% registrato dalle aziende dello stesso settore.

 

UN REGALO PER SAIA

Di certo, non ha aiutato i conti dell’Atam la decisione di entrare in Ati con la Saia, quando la Regione ne ha previsto la possibilità nell’ambito del piano di razionalizzazione dei servizi di trasporto locale. Per la società reggina, questo si è tradotto nell’acquisizione – databile 29 dicembre 2005 – del ramo d’azienda della società Saia di Vincenzo Saia e C. snc, costituito dalle concessioni per lo svolgimento del servizio di trasporto pubblico su quattro tratte extraurbane, undici automezzi e diciotto dipendenti, inclusi tfr e debiti previdenziali pregressi per più di 800mila euro. Un pessimo affare secondo Pricewaterhouse, pagato a prezzo troppo caro. Per la nota società di revisione infatti, quei 65.189 euro calcolati dal perito Serra, nominato dall’amministratore dell’epoca Demetrio Arena, erano decisamente eccessivi per un parco automezzi non eccelso né nuovo, tratte poco remunerative e dipendenti che già potevano vantare un’enorme mole di crediti previdenziali.

 

I CONTI NON TORNANO
Ma è quando i tecnici della nota società di revisione affrontano lo stato complessivo dei conti dell’azienda che la bocciatura arriva, netta e precisa. «La gestione caratteristica dell’azienda (differenza tra il “valore della produzione” e i “costi della produzione”), risulta nel periodo in esame (2002-2012) mediamente negativa; ciò evidenzia che l’azienda non era in grado di generare sufficienti risorse finanziarie tali da permettere il pagamento dei debiti della società, il cui andamento è stato, nello stesso periodo, sempre crescente. Le numerose assunzioni di personale effettuate nel periodo e l’impatto di altri costi cresciuti significativamente tra il 2002 e il 2012 hanno senz’altro appesantito i costi della produzione, riducendo e/o azzerando in taluni casi la marginalità aziendale». Traduzione: gli amministratori non hanno saputo amministrare. A partire dal 2002 infatti, il crescente ricorso a fonti di finanziamento esterne ha comportato una serie di problemi – dalla mancanza di liquidità alla difficoltà di adem
piere agli impegni «di breve periodo – che di anno in anno non hanno fatto che aggravarsi, anche perché nel periodo2008-2012, gli indicatori analizzati risultano significativamente peggiori rispetto a quelli mostrati da aziende similari operanti nel medesimo settore». Eppure, almeno formalmente tutto era a posto. «Nonostante gli squilibri di cui sopra – si segnala infatti nella relazione – da un punto di vista economico la società ha chiuso gli esercizi analizzati, a eccezione del 2011 e del 2012, rilevando un utile di periodo. Tali utili, tuttavia, non sono stati conseguiti tramite lo svolgimento dell’ attività caratteristica, ma derivano esclusivamente dal risultato della gestione straordinaria».

 

INUTILI PIANI INDUSTRIALI
Una situazione di anno in anno peggiore, che nessuno dei piani industriali proposti dagli amministratori è mai stato in grado di risolvere. Non è servito a nulla quello approvato nel dicembre del 2008 – in piena gestione Arena – che prevedeva programmi di esodo agevolato con sostituzione padre figlio, ricerca di nuove di nuove fonti di finanziamento presso istituti di credito, potenziamento dei servizi a scala urbana e metropolitana e cessione ad altri gestori delle linee extra – urbane, implementazione di un sistema di controlli di gestione articolato ed efficientamento della manutenzione degli automezzi, così come non è servito a nulla quello che nel dicembre 2011, con Filardo alla guida dell’azienda, che puntava all’aumento delle entrate anche attraverso la rimodulazione delle tariffe e alla riduzione delle uscite, tramite il ricorso alla cassa integrazione in deroga del personale. «Si rileva – si legge nella relazione – che dall’analisi dei risultati economici dello stesso periodo 2009-2011 nello stesso periodo il risultato della gestione caratteristica risulta sempre negativo; pertanto appare evidente che le azioni individuate nel suddetto piano industriale sono risultate poco efficaci».

 

GUAI IN ARRIVO
Ma ancor più sintetica e devastante è la conclusione cui giunge la nota società di revisione al termine di oltre sessanta pagine di dettagliata relazione «considerato che la Società non è stata in grado di generare, attraverso il proprio “core business” (ovvero la gestione caratteristica), sufficienti fonti di liquidità, non risulta che siano state messe in atto sufficienti azioni migliorative/correttive finalizzate ad un equilibrio economico da parte degli amministratori della Società, i quali invece hanno fatto sempre più spesso ricorso a fonti esterne di finanziamento, aggravando così l’equilibrio patrimoniale, degenerato nello stato d’insolvenza della Società accertato, nel mese di febbraio2014, dalla Guardia di Finanza, a cui è seguita l’istanza di fallimento presentata dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria». Guai, perdite e danni che gli ex amministratori Filardo e Arena potranno essere chiamati a pagare. Concretamente.

 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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