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BUCEFALO | L'ambulante in mano ai Piromalli

GIOIA TAURO Se è vero l’antico detto secondo cui «chi è causa del suo mal, pianga se stesso», in queste prime ore di cella l’imprenditore Alfonso Annunziata mille e mille volte starà maledicendosi….

Pubblicato il: 12/03/2015 – 20:44
BUCEFALO | L'ambulante in mano ai Piromalli

GIOIA TAURO Se è vero l’antico detto secondo cui «chi è causa del suo mal, pianga se stesso», in queste prime ore di cella l’imprenditore Alfonso Annunziata mille e mille volte starà maledicendosi. È infatti dalla sua viva voce che nell’ottobre del 2013 gli investigatori ascoltano una sintesi perfetta e precisa della sua evoluzione criminale, da imprenditore vittima dei contrasti fra clan a uomo dei Piromalli e loro principale interfaccia nella grande distribuzione, nonché garante della “sicurezza” per chiunque volesse investire nel loro feudo. Un vero e proprio romanzo criminale che in filigrana lascia intravedere la storia e la dinamica degli equilibri mafiosi nella Piana, attraverso il prisma della progressiva perversione dell’attività di un imprenditore.
Eppure, i primi passi di Annunziata, originario del Napoletano ma trasferitosi a Gioia Tauro negli anni Ottanta, non sembravano muovere in questa direzione.

 

UN AMBULANTE
Da piccolo ambulante era riuscito faticosamente ad aprire un negozietto che gli aveva permesso di allargare il giro di attività fin quando, nell’87 un attentato non lo aveva convinto ad andare via. Al suo commercialista di fiducia Giuseppe Chiodo, racconta infatti che dopo quella bomba «ho svenduto la merce le cose… e… e… e me ne sono andato… è inutile che tu… combatti… che cosa puoi… puoi… puoi fare? Se non è per estorsione… se era dice… volevano mille lire e tu non glieli hai date… ma poi… ti facevano una richie… oppure dopo messa la bomba, ti dovevano fare la richiesta? (…) io sono andato da quello e no, quello no e quello no… allora che veniva un altro da fuori? Loro… loro dicevano gente… gente di fuori, ma la gente di fuori venivano a Gioia?».
Poco convinto dalle informazioni raccolte all’epoca, Annunziata si rende conto di essere diventato pedina di un gioco molto più grande e a lui sconosciuto, non a caso sottolinea: «Siccome allora in quell’epoca, un anno prima avevano aperto Idea Sud… eh… si dovevano mettere il negozio Gs mettevano l’abbigliamento pure, le cose… allora… allora ho detto… “questi qua vogliono rilevare l’attività».

 

FAIDE E RITORSIONI
«Questi qua», nell’ipotesi dell’epoca dell’imprenditore, altri non erano che i fratelli Molè, parenti e costola del più potente clan Piromalli. Un’ipotesi che aveva indotto l’imprenditore anche a ipotizzare l’idea di una denuncia, per poi scartarla immediatamente perché «questi mi daranno sempre grattacapi». In realtà – spiegherà con il senno acquisito in decenni di familiarità con il clan padrone della Piana – dietro quell’attentato c’era altro. «In quel frattempo, in quei sette otto mesi – spiega infatti l’imprenditore – a Gioia… la faida dei Tripodi… Piromalli – Tripodi… Mazzaferro si è ritirato… Capelli è stato messo da parte… c’èstata una… una sistemazione e si sono fortificati Molè e Piromalli… hanno preso il sopravvento loro e basta… erano loro… allora ecco… c’è stata… allora… la bomba a me, a Seminara, a Sciarrone (…) per il predominio (..) Secondo me ci siamo andati sotto noi… per loro».
Quello che Annunziata, già all’epoca sotto la protezione dei Piromalli cui consegnava il regolare “fiore” per la sicurezza, cerca confusamente di spiegare è che il suo negozio fosse stato colpito per ritorsione o da qualcuno del gruppo dei Tripodo, in quei mesi coinvolto in una feroce faida con i Piromalli, o da qualcuno della famiglia Priolo, all’epoca in guerra con i Molè, ai tempi ancora sotto l’ala protettrice del clan di “Peppe il vecchio”.

 

UOMO DEI PIROMALLI
E proprio perché considerato particolarmente vicino al boss – confermano oggi gli inquirenti – Annunziata era stato colpito. «La scelta di attentare proprio all’attività economica di Annunziata – si legge infatti nell’ordinanza – non è stata casuale e la motivazione, evidentemente, va ricercata in quello che l’imprenditore gioiese rappresentava già a quel tempo: un punto di interesse della cosca Molè-Piromalli e non un semplice imprenditore estorto come tutti gli altri». Vittima di un danno collaterale di una guerra cui non prendeva parte, l’imprenditore però non sarebbe rimasto a lungo lontano da Gioia Tauro, tuttavia prima di tornare avrebbe chiesto il “permesso” al vecchio boss, tramite lo zio Fioravante Annunziata.
Per i magistrati, che hanno incastrato le sue puntuali affermazioni con centinaia di intercettazioni e riscontri di indagini passate, rilette alla luce delle nuove acquisizioni, Annunziata «pienamente consapevole del fatto che l’attentato dinamitardo appena subìto non era ovviamente riconducibile alla cosca Piromalli (a cui dava il “fiore”) e dopo aver accertato, durante i mesi di esilio lontano da Gioia Tauro e come invece ipotizzato in un primo momento, che non era coinvolta neppure quella dei Molè (l’altra cosca che – usando le sue stesse parole – aveva «preso il sopravvento» a Gioia Tauro) – decideva scientemente di non denunciare e al contempo compiva però una precisa scelta di campo, offrendosi alla ‘ndrangheta e gettando le basi per la creazione di un solido e duraturo connubio con la cosca dominante a Gioia Tauro, quella per l’appunto dei Piromalli».

 

IL PERMESSO DI DON PINO
Avvicinato nel corso di un processo, don Peppe il vecchio da il via libera, ordinando: «”Parla con mio nipote» dice, niente no… non hanno voluto niente… dice “voi a Natale e a Pasqua fate un regalo alla famiglia qua” e stop… “, “e stop… e questo qui abbiamo fatto», riferisce Annunziata al suo commercialista. Un passaggio che per gli inquirenti oggi ha un significato chiaro e univoco: «Dopo aver avuto contezza della supremazia della ‘ndrina Piromalli-Molè sulle altre organizzazioni gravitanti nella piana di Gioia Tauro, il predetto imprenditore ha iniziato un percorso teso a creare un connubio simbiotico con questi ultimi, frutto di un vero e proprio calcolo costi/ benefici che lo ha portato ad “allearsi” con i vincenti e ad avviare con loro un vero rapporto di reciproco vantaggio, in cui Annunziata è diventato il referente della citata ‘ndrina dal punto di vista imprenditoriale».

 

CASA PIROMALLI
Un rapporto confermato anche da collaboratori come Antonio Russo – cognato di una nipote del boss Piromalli e per questo a conoscenza di molti degli “affari di famiglia” – ma anche dal pentito Salvatore Germanò, legato al clan rivale dei Priolo, per il quale «Annunziato(a) è sempre stato dalla parte dei Piromalli. Per trovarsi dov’è Annunziato(a) Alfonso, no è che da oggi un uomo, oggi giorno arriva un imprenditore ed apre … un’estesa così enorme… Annunziato(a) da quel momento che ha fatto il capanna non è chi glielo ha toccato qualcuno».
Ma è lo stesso imprenditore a smentire le sue ufficiali testimonianze in sede di interrogatorio e nelle aule di giustizia – occasioni in cui ha sempre affermato di aver conosciuto i Piromalli solo dai giornali – quando, ascoltato dagli investigatori, racconta candidamente alla moglie Domenica Epifanio di aver incontrato «un paio di volte» Giuseppe Piromalli il vecchio durante il periodo della sua latitanza, mentre quest’ultimo giocava a carte con altri amici. Un dettaglio non di poco conto per gli inquirenti, per i quali «fornisce una collocazione temporale, precisa e inequivocabile, circa l’inizio della conoscenza con l’allora boss indiscusso della cosca dei Piromalli, attribuendovi un carattere confidenziale, a tal punto da potersi permettere di incontrarlo mentre lo stesso era in stato di latitanza».

 

LA SETTIMANA INSONNE
Una familiarità cui fanno riscontro le preoccupazioni del vecchio boss – riferite ai pm dal suo compagno di cella poi pentitosi, il braccio destro di Nino Imerti, Giuseppe Scopelliti – quando Annunziata per la prima volta finisce in manette nell’ambito dell’op
erazione Tirreno.
«C’è stato un episodio, ad esempio – ha messo a verbale il collaboratore – dell’arresto di un suo compare, compare, un commerciante, se non ricordo male, Annunziata, così via, riguardo una dichiarazione di Raso su un’estorsione; lui era molto preoccupato tanto che non dormì per una settimana». Il boss, ha spiegato all’epoca Scopelliti agli inquirenti «aveva paura che l’Annunziata, cioè, non essendo una persona, detta da lui, molto forte potesse cantare in carcere non tenendo il carcere e cantare», confermando le rivelazioni del pentito Annunziato Raso, che all’epoca aveva svelato il ruolo dei Piromalli in alcune estorsioni. Preoccupazioni che devono essere arrivate all’orecchio dello stesso imprenditore, se è vero che una volta scarcerato – ha svelato il pentito Russo – «faceva mosse a mio fratello “comunque Luciano” gli diceva “dici a… dici a tua suocera che io” faceva intendere “non mi è scappato niente, che io non ho parlato».
Una dimostrazione di fiducia e di fedeltà che per i magistrati è prova «dei rapporti di inequivocabile familiarità con le cosche di ‘ndrangheta operanti a Gioia Tauro (ed in particolare con colui che era all’epoca il capo della cosca più potente)».

 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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