REGGIO CALABRIA Quarantasette giorni, poco più di un mese e mezzo. Per Expo è iniziato il conto alla rovescia. Ma mentre i lavori continuano a ritmo serrato per recuperare i mesi di ritardo accumulato, si iniziano anche a fare i primi bilanci sulla kermesse che a breve dovrebbe aprire i battenti. E non sono per nulla positivi. Una sonora bocciatura è arrivata di recente da Nando Dalla Chiesa, direttore dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata Università degli Studi di Milano, ascoltato una settimana fa in commissione parlamentare antimafia. Nel tracciare una mappa della penetrazione mafiosa – ed in particolare ‘ndranghetista – nell’economia legale al Nord, Dalla Chiesa non esita ad affermare: «Non si può dire che ci sia stata una disattenzione del sistema nei confronti del fenomeno mafioso. Eppure, stiamo rilevando ancora oggi, alla vigilia di Expo, delle presenze che abbiamo segnalato nella relazione dell’ultimo comitato antimafia».
ATTENZIONE ALLA LEGALITÀ SOLO SULLA CARTA
Per evitare che le mafie in generale e la ‘ndrangheta in particolare mettessero le mani sui lavori programmati per la grande e controversa kermesse internazionale sono stati creati una commissione e un comitato antimafia, gruppi interforze di monitoraggio e controllo, ed anche il prefetto di Milano ha riservato non poca attenzione alle imprese impegnate nei cantieri, distribuendo oltre settanta interdittive. Ma le ‘ndrine in Expo – afferma Dalla Chiesa – ci sono entrate lo stesso, «in punto di fatto, non di diritto, quindi non perché ricevono degli appalti o dei subappalti». O meglio non solo se è vero che almeno settanta ditte sono state allontanate con una pioggia di interdittive.
CONTROLLI INEFFICACI E INEFFICIENTI
Quando hanno puntato i cantieri, i clan non hanno avuto alcun problema ad entrarci materialmente perché «i controlli che vengono annunciati e che sembrano tutelare pienamente lo svolgimento di quei lavori a volte non sono realizzati o non lo sono per molto tempo. Per esempio, c’è stata un’estrema episodicità dei controlli interforze per tutta la fase degli sbancamenti, quella in cui c’è stato il movimento terra, che è verosimilmente quella della più forte presenza e attività di imprese di natura mafiosa. Ecco, la fase degli sbancamenti ha visto una presenza bassissima dei controlli interforze (solo 3 controlli nei primi sei mesi)». Ma c’è di più, perché stando a quanto denuncia dalla Chiesa, per lungo tempo, i tanto sbandierati controlli sono esistiti solo nella propaganda di chi a tutti costi ha voluto l’Expo a Milano. Il docente noto per il suo impegno antimafia non esita infatti a denunciare che «per due anni i camion sono entrati e sono usciti senza essere rilevati, con un uso parziale dei famosi GPS per seguire i percorsi fino ai luoghi di consegna del materiale. Anche in questo caso, soltanto una parte dei camion e solo da un certo punto in poi è stata seguita attraverso il sistema GPS».
ALLARME SMALTIMENTO
E come se non bastasse – dice Dalla Chiesa – quando i controlli sono stati effettuati, si sono rivelati in tutto e per tutto incapaci di stanare la presenza mafiosa. Ai parlamentari della commissione, il docente della Unimi non esita infatti a rivelare che «abbiamo identificato un’inefficacia dei controlli effettuati, cioè carenza di controlli notturni o sulle imprese operanti sul terreno. Anche le modalità di svolgimento dei controlli Arpa – ha aggiunto – sono stati deficitari. Non ci sono state verifiche sulle cave di conferimento dei rifiuti tossici, un paio delle quali sono particolarmente a rischio. C’è un’infedeltà dei controlli praticati. Ci sono, cioè, indicazioni discrezionali del peso dei materiali in ingresso e in uscita perché le pese erano inattive o inaccessibili, quindi quanto entrasse e uscisse non era misurato da nessuno strumento di rilevazione attendibile, così come c’era una valutazione a occhio della qualità del materiale trasportato dentro e fuori dai cantieri».
EXPO SPA, DISTRATTA E INSOFFERENTE
Un impietoso elenco di inefficienze che lasciano presagire il peggio, per le quali Dalla Chiesa, presidente del comitato antimafia di Milano, non esita a puntare il dito contro la stessa società costituita per gestire il grande evento. «Vi è stata, per giunta, un’insofferenza delle strutture Expo rispetto ai controlli, con il diniego anche nei riguardi del comitato Pisapia e delle richieste dei settimanali di cantiere. Questo è stato inserito nell’ambito dell’ostruzionismo burocratico, con la difficoltà per gli stessi consiglieri comunali di entrare, lo scoraggiamento delle visite della polizia locale, le domande di sbrigafaccende per le emergenze operative». Un giudizio netto e impietoso che il docente di Unimi riassume in maniera lapidaria: «Questo è il quadro complessivo che sta sotto un atteggiamento di grande attenzione da parte dell’opinione pubblica e delle istituzioni. Indubbiamente, vi è stato un grande livello di attenzione sotto il quale, in punto di fatto, nei cantieri si verificano queste cose».
LA MAFIA C’È MA NON SI VEDE
E a sostegno della propria tesi e delle proprie pesantissime accuse, Dalla Chiesa non esita a portare esempi concreti. È bastato presentarsi nei cantieri di notte per scoprire che sul cantiere subappaltato ad una ditta erano al lavoro operai di «un’impresa che aveva nel suo consiglio di amministrazione dei pregiudicati che provenivano dai luoghi classici di provenienza delle imprese di ‘ndrangheta. Come avevano fatto a essere presenti? Ecco, questo è significativo. Avevano subaffittato il ramo d’azienda, ma questo subaffitto non era stato comunicato, quindi operavano a nome dell’azienda, ma non erano l’azienda». In un altro caso, sottolinea invece Dalla Chiesa, «l’azienda è stata acquistata dopo aver vinto l’appalto, ma naturalmente ha mantenuto la sua ragione sociale, anche se dentro c’era l’impresa di mafia». Esempi concreti ma estremamente imbarazzanti per Milano e l’Italia, che sempre più propongono Expo come evento strategico per il futuro del Paese, ma sembrano averne – da tempo – perso il timone.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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