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Le due facce della sanità vibonese

VIBO VALENTIA Una creatura bifronte, come l’antica divinità latina Giano. Due facce diverse che all’apparenza non sembrerebbero poter coesistere e che, invece, appartengono allo stesso corpo. Un co…

Pubblicato il: 15/03/2015 – 16:14
Le due facce della sanità vibonese

VIBO VALENTIA Una creatura bifronte, come l’antica divinità latina Giano. Due facce diverse che all’apparenza non sembrerebbero poter coesistere e che, invece, appartengono allo stesso corpo. Un corpaccione, quello della sanità calabrese, sempre più malandato, nonostante sia stato alimentato per anni con enormi iniezioni di denaro pubblico. E mentre negli ultimi tempi a tenere banco è stata la poco appassionante telenovela sulla nomina del nuovo commissario ad acta per il piano di rientro dal disavanzo del settore, nelle cinque aziende sanitarie calabresi sembrano essere rimasti in voga alcuni modelli di gestione che evidentemente cozzano parecchio con le esigenze della spending review e, soprattutto, con la situazione di insostenibile precarietà che incombe sui presidi che sul territorio dovrebbero ancora garantire un minimo di assistenza agli utenti. A Vibo succede. Ed è una storia vecchia che però si sta ripetendo anche in tempi, quali quelli attuali, di vacche magrissime.

I TRE PRESìDI DELLA PROVINCIA
L’Asp attualmente guidata dal dg Florindo Antoniozzi è stata più volte al centro della bufera per ragioni di varia natura. Tristemente noti, infatti, sono i casi (veri o presunti) di malasanità che, in passato, hanno interessato soprattutto lo Jazzolino, l’ospedale del capoluogo di provincia che dovrebbe fungere da punto di riferimento per un territorio non troppo esteso ma molto disomogeneo e malcollegato dal punto di vista infrastrutturale. Oggi gli oltre 160mila abitanti che risiedono nei 50 Comuni della provincia possono fare affidamento, oltre che sullo Jazzolino, su altri due ospedali, quelli di Tropea e Serra San Bruno. Al primo fa riferimento l’utenza della costa tirrenica che, specie nei mesi estivi, si popola di migliaia di visitatori turisti; il secondo è invece l’unico presidio sanitario cui possono rivolgersi le circa 20mila persone che vivono nell’entroterra montano, un territorio già di per sé marginale e debole sotto ogni punto di vista. Questi due presìdi dovrebbero alleggerire il carico del pronto soccorso dello Jazzolino assorbendo le emergenze meno gravi, ma di fatto i tagli messi in atto con il piano di rientro hanno ridotto moltissimo le capacità di manovra degli operatori, in costante affanno per la carenza di strumenti e di personale adeguato. Quello di Serra, nel piano stilato dall’ex governatore Scopelliti, ha guadagnato la dicitura di «ospedale di montagna» ma, al di là delle parole e degli annunci ormai datati, oltre a un pronto soccorso con pochissimi medici che si sottopongono a turni massacranti è rimasta solo una Medicina-lungodegenza con venti posti letto disponibili, mentre sono stati chiusi i reparti di Chirurgia, Cardiologia e – già all’epoca della giunta Loiero – quello di Ginecologia-ostetricia. Sorte leggermente diversa è toccata a Tropea, il cui presidio è stato riconosciuto come «ospedale generale» anche se, di recente, è stata chiusa tra le polemiche la sala operatoria dove nel 2014 erano stati effettuati più di 600 interventi di piccola chirurgia.
Dell’ospedale di Vibo, infine, si è detto e scritto di tutto, specie in relazione alle tragedie immani che hanno colpito le famiglie di Federica Monteleone ed Eva Ruscio, entrambi sedicenni, entrambi arrivate allo Jazzolino per interventi relativamente banali nel corso dei quali, però, hanno perso la vita. Nonostante l’impegno di molti operatori che tuttora lavorano allo Jazzolino, le gravi carenze strutturali e di organico restano tutte. Per comprenderne la portata, basti pensare che al pronto soccorso sono attualmente in servizio, a turno, solo tre infermieri e due medici. E per capire quale sia la condizione generale degli ospedali vibonesi basta leggere i dati sui posti letto, che qui sono 1 su 1000 abitanti. Dovrebbero essere il triplo.

IL MIRAGGIO DEL NUOVO OSPEDALE
Lo scorso 3 marzo il presidente della Regione Mario Oliverio è arrivato a Vibo per un appuntamento importante per la sanità locale. Il governatore si è infatti seduto a un tavolo a fianco del prefetto Giovanni Bruno, del direttore generale dell’Asp Antoniozzi e dell’amministratore unico della “Vibo Hospital Service S.p.a.”. Quest’ultima è l’azienda appaltatrice dei lavori per il nuovo ospedale di Vibo, un’opera di cui si parla da ormai 15 anni e che rimane tuttora un miraggio da campagna elettorale. Oliverio ha firmato un protocollo d’intesa per la tutela della legalità, un atto che non è solo formale alla luce della controversa storia dell’appalto in questione. Si tratta, infatti, di un’opera pubblica da 140 milioni di euro finita già al centro dell’inchiesta “Ricatto”, condotta nel 2005 dal sostituto procuratore Giuseppe Lombardo, ora in servizio alla Dda di Reggio, a cui è poi subentrato il pm Fabrizio Garofalo. Dagli elementi investigativi raccolti all’epoca dai luogotenenti dell’Arma Nazzareno Lopreiato e Stefano Marando venne fuori un presunto giro di tangenti proprio attorno agli appalti del nuovo ospedale. Oggi, però, il processo “Ricatto” – in cui sono tuttora imputati, tra gli altri, l’ex dg dell’Asp di Vibo, Santo Garofalo, l’ex rup e i titolari del “Consorzio Tie” che in un primo momento si era aggiudicato l’appalto, poi annullato dall’Asp per gravi inadempienze contrattuali – dopo una lunga sequela di rinvii causati dalle continue variazioni del collegio giudicante, rischia di avviarsi a grandi passi verso la prescrizione dei reati contestati.

L’ASP DEI PREMIATI
Se sul territorio l’emergenza sanitaria è ormai divenuta una realtà tanto nota quanto consolidata, c’è un’altra faccia della sanità vibonese che è molto meno conosciuta e che collide con i tagli effettuati sugli ospedali. Sia chiaro: quello di esternalizzare molti servizi, di contribuire agli sprechi e di distribuire incarichi e prebende è un vizio antico che alberga nelle stanze dell’Asp di Vibo da molto tempo e a dispetto dei vari avvicendamenti al vertice dell’ente. Molto spesso, non è un mistero, le decisioni rispondono più a logiche di appartenenza politica (e sindacale) che alle reali esigenze amministrative, ma al di là dei “moventi” non passano certo inosservate alcune anomalie che continuano a contraddistinguere la sanità vibonese.
Non si tratta di illegittimità, ma senza dubbio lascia un po’ perplessi scoprire che il dg Antoniozzi, con una delibera dello scorso 18 febbraio, abbia concesso il 20% in più dello stipendio al direttore amministrativo (Francesca Cupo) e a quello sanitario (Carlo Truscello) – che già guadagnano poco meno di 100mila euro all’anno – in virtù di non meglio precisati obiettivi raggiunti nel corso del 2014. Dei dettagli sulle performance del personale, peraltro, non si trova traccia nella sezione “amministrazione trasparente” del sito web istituzionale, dove invece si può apprendere che all’Asp di Vibo sono ben 40 i titolari di posizioni organizzative, volgarmente dette “vicedirigenze” perché comportano per il titolare un’ulteriore responsabilità ma anche una remunerazione aggiuntiva. E un altra scelta non proprio improntata al risparmio, infine, è quella di mantenere sdoppiati i dipartimenti relativi all’area amministrativa e a quella economica. In molte altre Asp sono accorpati, ma a Vibo, a quanto pare, non si bada a spese.

 

(pubblicato sul n.192 del Corriere della Calabria)

Sergio Pelaia

s.pelaia@corrierecal.it

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