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«Marlane, testimonianze contradditorie»

PAOLA Vicenda non collocabile in tempi specifici tale da rendere il riferimento generico. Un vizio d’origine che renderebbe di dubbia efficacia anche la perizia dei tecnici. Come dubbia sarebbe anc…

Pubblicato il: 19/03/2015 – 18:40
«Marlane, testimonianze contradditorie»

PAOLA Vicenda non collocabile in tempi specifici tale da rendere il riferimento generico. Un vizio d’origine che renderebbe di dubbia efficacia anche la perizia dei tecnici. Come dubbia sarebbe anche la localizzazione dei prelievi esaminati. Ma ancor più decisivo il risultato dell’indagine epidemiologica che «ha fornito risultanze tali da far escludere l’impostazione di accusa». Da qui la decisione lapidaria del Tribunale di Paola che con la formula del «fatto non sussiste» ha chiuso il primo grado del processo contro responsabili e amministratori dell’ex stabilimento Marlane di Praia a Mare e che ha ora una motivazione scritta nero su bianco.

La sentenza – con la quale il 19 dicembre scorso il giudice Domenico Introcaso, presidente del Tribunale paolano ha mandato assolto con la formula più ampia i dodici imputati del processo passato allo storia come “Marlane” – è stata dettata dall’inconsistenza dei fatti contestati ai vertici e ai responsabili di quella che è stata considerata la fabbrica della morte. Tali da rigettare anche le richieste di risarcimento del danno proposte in sede civile e la revoca del sequestro dei beni con la restituzione immediata di quanto finito sotto sigilli. Una decisione che non lascia spazio alle incertezze e legata a quanto emerso in sede processuale. Stando alle motivazioni scritte dal collegio giudicante – composto oltre che dal presidente Introcaso, dai giudici Annamaria Buffardo e Pierpaolo Bortone – in 256 pagine, che citano anche quanto avvenuto nel processo della Thyssenkrupp, i giudici confutano il metodo di indagine che non reggerebbe all’ipotesi di disastro ambientale: secondo il Tribunale di Paola, in altre parole non ci sarebbe alcun riscontro reale. Né ci sarebbe stato omissione nell’adottare misure di prevenzione da parte dei responsabili dello stabilimento. Non hanno retto all’analisi del collegio neppure le prove testimoniali – forse l’elemento principale su cui si basava l’accusa – a cui i giudici hanno dedicato un’ampia parte del lavoro concludendo che sarebbero state a volte anche contraddittorie e comunque non sufficienti a comprovare il nesso di causalità tra contrazione della malattia e contesto lavorativo dove gli operai – che si sono ammalati o sono deceduti – svolgevano la propria attività. Ma ancor più laconica la valutazione delle condizioni in cui versava lo stabilimento Marlane nel periodo contestato. Secondo i giudici andava comparato seguendo i parametri previsti dalle normative dell’epoca dei fatti.

Ma c’è di più. «All’esito dell’istruttoria dibattimentale – scrivono i giudici – non sono emersi elementi sufficienti a far ritenere che nella fabbrica non fossero presenti idonei impianti di aspirazione e che non fossero stati forniti ai dipendenti sufficienti dispositivi di protezione». Soprattutto alla luce che «nel corso degli anni si è verificato all’interno dello stabilimento un progressivo miglioramento degli impianti di areazione». E anche per quanto attiene alle sostanze chimiche utilizzate all’interno della fabbrica tessile ci sarebbero troppi dubbi per assurgere a elemento di colpevolezza. Ma è soprattutto l’indagine epidemiologica – messa in conto dall’accusa – che per i giudici dimostrerebbe più di una crepa. Da qui, dunque la scelta della formula piena per assolvere il gotha del mondo tessile italiano. Ora sarà veramente molto difficile per la Procura di Paola capovolgere questo verdetto. Alla luce anche della circostanza che il presidente del collegio giudicante è divenuto nel frattempo presidente della Corte d’appello di Catanzaro.

Roberto De Santo

r.desanto@corrierecal.it

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