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Fondi europei, occasione persa

La Calabria a rischio default. La notizia è finita nei giorni scorsi sulle prime pagine di molti giornali a sottolineare il fatto di dover dare l’addio a molte opere nel dramma cronico rappresentat…

Pubblicato il: 20/03/2015 – 12:25

La Calabria a rischio default. La notizia è finita nei giorni scorsi sulle prime pagine di molti giornali a sottolineare il fatto di dover dare l’addio a molte opere nel dramma cronico rappresentato dalla povertà di questa regione. La cifra è enorme: un miliardo e 900 milioni di euro sui quali l’Europa chiede conto e che la Regione non riesce a rendicontare per circa 974 milioni. Si tratta dei fondi strutturali di intervento creati e gestiti dall’Unione europea per finanziare vari progetti di sviluppo all’interno dell’Unione per il periodo 2007-2013. Gli obiettivi principali dei fondi strutturali sono tre: la riduzione delle disparità regionali in termini di ricchezza e benessere, l’aumento della competitività e dell’occupazione e il sostegno della cooperazione transfrontaliera. I fondi strutturali impegnano il 37,5% del bilancio complessivo dell’Unione europea. E, secondo Demoskopika che è l’Istituto di ricerca economica e sociale, la Calabria rischia anche di perdere le risorse per riprogrammare il “Piano di azione per la coesione” (Pac). Dai dati resi noti dal dipartimento per lo Sviluppo, aggiornati al 31 dicembre scorso, emerge che sono stati spesi solo un miliardo e 700 milioni a fronte appunto dei due miliardi e 700 milioni complessivi. Ecco come si spiega la rimanenza dei 974 milioni che devono essere spesi entro la fine dell’anno in corso a cui vanno aggiunti anche gli 897 milioni del Piano di azione per la coesione. Un mare di denaro che, secondo l’Istituto di ricerca, rischia di essere “prosciugato” per l’incapacità di programmazione della Regione oltre che per i suoi irragionevoli tempi burocratici.
Secondo Demoskopika, oltre a dover portare alla quota del 100% questi due indicatori entro la fine dell’anno, la Calabria dovrà impiegare quelle risorse a cui ha aderito tramite il Piano di azione per la coesione, suddivise tra la terza e la quarta fase del piano, altrimenti quei fondi verranno riassorbiti dallo Stato. Il rischio è di perdere 350 milioni di euro dalla terza fase, a tutto discapito della realizzazione di progetti, come il rifinanziamento del credito d’imposta per occupati svantaggiati e molto svantaggiati, il sistema di incentivazione alle imprese regionali per sostenere gli investimenti e il riequilibrio finanziario o gli aiuti alle persone con elevato disagio sociale. Mentre i 546 milioni della quarta fase, potrebbero essere riassorbiti nella Legge di stabilità del 2016 se, entro il 30 settembre di quest’anno, non verrà verificata la reale fattibilità dei progetti inseriti nel piano ed eventualmente riprogrammati quelli fuori obiettivo. I ritardi finora accumulati, e forse anche l’incapacità di chi ha esercitato la precedente gestione politica di programmare la spesa comunitaria potrebbero essere causa del default regionale. Ma le responsabilità investono anche le varie associazioni di categoria, gli enti locali e le organizzazioni sindacali che, secondo l’Istituto di ricerca, «sprecherebbero tempo nelle conferenze dei servizi per fare accordi e programmi, soggetti a loro volta a una grande quantità di ricorsi, presentati da chi non rientra nelle graduatorie per ottenere i fondi». Insomma c’è veramente da non stare allegri se si considera in che mani (e non soltanto per responsabilità politiche) sono state consegnate le sorti e il futuro di questa derelitta terra.
Per il momento ci sorregge la speranza che la nuova squadra che regge la Regione faccia di tutto per controllare, nei pochi mesi che mancano alla fatidica data del 31 dicembre 2015, che funzionari e tecnici dei vari dipartimenti facciano ciò che non è stato fatto negli anni precedenti. E’ infatti un fatto incontrovertibile che nonostante si sia spesso alle prese con ristrettezze economiche la Calabria (ma anche altre regioni specie del Sud) usa poco e male il fiume di denaro che arriva dall’Unione europea. Né può essere di consolazione il fatto che, come la Calabria, vi sono altre regioni nelle stesse condizioni e che l’Italia complessivamente occupi il penultimo posto nella classifica seguita solo dalla Romania. Il principio del “mal comune mezzo gaudio” non si addice ad una regione in crisi economica e con un alto tasso di disoccupazione e di inoccupati. Un risultato complessivo così deludente è figlio di singole performances regionali. Il centro-nord, col suo 28,4% di fondi spesi, è quasi in linea con la media comunitaria. Spiccano le brillanti performances delle Province autonome di Trento (47%) e Bolzano (33,2%) e dell’Emilia Romagna (42,5%). Ma la situazione nel Mezzogiorno appare disastrosa. Secondo il monitoraggio del ministero dell’Economia, al 31 ottobre scorso la Sicilia aveva speso appena il 9,1%, la Campania il 9,5% e la Calabria il 15,2% delle risorse a disposizione. Una situazione comunque deludente di cui resta responsabile la classe politica, e non solo quella che negli anni ha governato, ma anche quella delle opposizioni che non hanno esercitato i controlli e non sono riuscite ad essere da stimolo per tutte le iniziative di sviluppo del territorio. Su queste gravi deficienze e sulla insipienza di quanti si sono succeduti nel consiglio regionale, sarebbe opportuno che ciascun calabrese si interrogasse a fondo e traesse le opportune considerazioni per non farsi cogliere impreparato nelle future occasioni elettorali.

 

*Giornalista

 

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