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Il "rapporto" tra Stato e mafia

REGGIO CALABRIA Mafia e Stato sono in rapporto di assoluta dicotomia o le istituzioni spesso mantengono un margine di ambiguità nel contrastare la criminalità organizzata? È questa la provocazione …

Pubblicato il: 23/03/2015 – 21:27
Il "rapporto" tra Stato e mafia

REGGIO CALABRIA Mafia e Stato sono in rapporto di assoluta dicotomia o le istituzioni spesso mantengono un margine di ambiguità nel contrastare la criminalità organizzata? È questa la provocazione attorno a cui ruota il libro voluto da Società libera, think tank di ispirazione liberale, che alla domanda ha chiamato a rispondere sedici fra uomini e donne delle istituzioni, professori e intellettuali, con l’obiettivo di trarre un bilancio – dice il direttore Vincenzo Olita, oggi a Palazzo San Giorgio per la presentazione a Reggio Calabria – «fuori dagli schemi dei professionisti dell’antimafia». E il risultato non è di segno positivo. «Non possiamo essere soddisfatti dello stato del contrasto alla criminalità organizzata», sostiene, sottolineando i quattro assi – quello repressivo, delegato a troppi pochi magistrati e imbrigliato in una burocrazia che diventa pastoia; quello culturale, che a partire dalla quotidiana informazione è ancora troppo debole per essere efficace; quello economico-burocratico, come quello politico, impantanati nel limbo dell’ambiguità – su cui lo Stato fino a oggi ha dato risposte troppo poco convincenti per essere credibile. Un bilancio severo, che alle istituzioni presenta il conto di uno strapotere criminale che nonostante i regolari proclami permane nel tempo identico a se stesso, se non rafforzato, imponendo una riflessione tanto sui metodi come sulle reali finalità della battaglia. Un quesito cui il sindaco Giuseppe Falcomatà, anfitrione dell’iniziativa nel “suo” Salone dei lampadari, non si è sottratto, affermando che un pezzo di Stato, disposto ad andare fino in fondo nella lotta alla criminalità organizzata, c’è e si confronta con un’impresa, forse impari, come quella di risollevare dalle ceneri dello scioglimento per contiguità mafiose il Comune di Reggio Calabria. «Come consiglio comunale – spiega il sindaco – stiamo lavorando tanto sul piano interno, come sul piano esterno. Questo vuol dire che con gli strumenti limitati che la legge allo stato ci consente, come la rotazione dei dirigenti e la riorganizzazione degli uffici, stiamo agendo per smantellare quei potentati che si erano creati in alcuni dipartimenti». Sul piano esterno invece – continua il sindaco – l’azione dell’amministrazione va da una costante presenza nelle scuole, all’introduzione del rating di legalità per le imprese, all’istituzione di un osservatorio antindrangheta che si occupi di monitoraggio e controllo, ma soprattutto contro quella pratica che regala il 2% del valore di ogni appalto a progettazione ultimata, finendo per convertirsi nella radice di troppe incompiute, il cui unico valore è di aver foraggiato criminalità organizzata e corruzione».
«La maggior parte delle opere del decreto Reggio – spiega al riguardo il sindaco – sono ferme alla fase della progettazione perché l’unico interesse era arrivare a quel 2% di un appalto milionario». Certo, ammette Falcomatà, le criticità non mancano, a partire da quelle leggi “monche” che oggi non consentono a un’amministrazione sciolta per mafia di sostituire con nuove forze quei dirigenti che, con le loro condotte, hanno contribuito allo scioglimento del Comune. «In questo senso – dice – Reggio sta facendo giurisprudenza perché è la prima volta che un capoluogo di regione si trova a ripartire dopo uno scioglimento per mafia».
Una giurisprudenza che tanto per Angela Napoli, ex parlamentare oggi consulente della commissione parlamentare antimafia, come per l’ex ministro Lanzetta è urgente e necessario mettere a punto perché le attuali norme si sono rivelate insufficienti ad arginare l’infezione mafiosa anche dopo il “licenziamento” della politica. «La legge Bassanini – sottolinea la Napoli – ha caricato di responsabilità l’apparato amministrativo, ma questo non viene toccato dallo scioglimento. In questo senso, sarebbe necessario che i commissari scelti per guidare le amministrazioni, avessero davvero poteri straordinari per poter revocare gli incarichi ai dirigenti, anche vincitori di concorso, che abbiano autorizzato iniziative e procedure che hanno causato lo scioglimento».
C’è rammarico invece nelle parole di Maria Carmela Lanzetta, per quel lavoro iniziato alla guida del ministero Affari regionali per «stare vicino alle amministrazioni sciolte per mafia» e interrotto per contribuire al lavoro della giunta regionale calabrese, in cui – «per coscienza», sottolinea – non avrebbe in seguito messo piede. «Aver abbandonato questo processo mi comporta una certa amarezza perché avrebbe portato al cittadino risultati concreti e visibili, tali da allontanarlo da corruzione e mafie».
Ma il ministro non rimpiange di aver detto di no al governatore Mario Oliverio: «Si tratta di una questione di coscienza. Ognuno di noi segue dei percorsi e con umiltà torna indietro quando quei percorsi non danno i risultati sperati».

 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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