PAOLA Il fascicolo d’indagine è stato già aperto ed è pronto ad accogliere le risultanze di quanto emergerà dai confronti biologici incrociati su tutti i sospettati. Alla Procura di Paola il caso di Roberta Lanzino, la ragazza violentata e uccisa ben 27 anni fa, è tutt’altro che archiviato. L’isolamento del Dna dell’aggressore di Roberta da parte dei Ris di Messina ha dato un nuovo impulso a una vicenda che scuote ancora oggi le coscienze non solo dei calabresi. E non è detto che questa volta non sia quella decisiva. Il pool investigativo radunato dal procuratore capo Bruno Giordano – titolare dell’indagine – per fare piena luce su un delitto così efferato dimostra la determinazione degli inquirenti di dare un nome e un volto ad almeno uno degli assalitori di Roberta. «E – rassicurano dalla Procura – non si lascerà nulla di intentato». La strada individuata per comparare il Dna isolato dal liquido seminale rinvenuto sul luogo del ritrovamento del cadavere della 19enne cosentina si basa su un sistema concentrico di tipo tradizionale. Ripartendo dalle ultime ore di vita di Roberta. Il percorso che quel maledetto giorno di fine luglio del 1988 stava seguendo con il suo motorino, le persone che ha incontrato lungo la via e con le quali si è confrontata quanto si sarebbe accorta di aver smarrito la strada che da Rende la stava portando a Torremezzo, dove la stavano aspettando invano i suoi genitori. È lì che con maggiore attenzione gli inquirenti si starebbero concentrando. Stringendo al massimo il cerchio attorno a un gruppo ben individuato di persone e su cui si erano concentrate una serie di piste investigative della prima ora. Poi confluite in una prima inchiesta che ha portato a processo i fratelli Frangella – i pastori assolti in via definitiva – e, successivamente, nel processo in corso davanti la Corte d’assise di Cosenza che ha messo alla sbarra Francesco Sansone l’imprenditore agricolo di Cerisano – con una sentenza d’ergastolo già collezionata – e accusato di aver seviziato, violentato e ucciso la ragazza assieme a Luigi Carbone – il pastore che, secondo l’accusa, sarebbe stato eliminato dallo stesso Sansone perché intenzionato a vuotare il sacco proprio su questa turpe vicenda. Una ricostruzione messa in piedi da un celebre pentito della mala cosentina – Franco Pino –, ma che potrebbe franare a seguito appunto della comparazione con il Dna isolato dal liquido seminale prelevato dal terriccio sotto il cadavere di Roberta. Da qui appunto la decisione dei segugi paolani di rimettersi in moto e di scandagliare pezzo per pezzo questa vicenda. Con una certezza in più rispetto alle precedenti indagini e per questo maggiormente intenzionati a non commettere gli errori del passato. «Non lasceremo nulla al caso – sottolinea il procuratore capo Giordano –. Nessuna strada sarà esclusa, ma senza sparare nel mucchio. Soprattutto perché – dice – sfrutteremo al meglio le possibilità che ci vengono offerte dalle nuove tecnologie di comparazione biologica».
Roberto De Santo
r.desanto@corrierecal.it
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