PRAIA A MARE C’è un appendice alla sentenza sulla Marlane che ha mandato assolti dirigenti e responsabili dell’ex stabilimento tessile ancora non chiarita. E non è di poco conto. Il tribunale di Paola – su richiesta specifica della Procura tirrenica – non ha dato l’assenso a dissequestrare l’immensa area di pertinenza dell’ex sito produttivo di Praia a Mare. Una richiesta formale scaturita dall’istanza reiterata più volte dai legali del gruppo Marzotto, tutt’ora proprietari dell’intera area, che intendevano riprendere possesso del terreno sottoposto a sequestro fin dal 2006. Si tratta di circa 40mila metri quadrati localizzati in una zona ad alto interesse turistico – si trovano a ridosso del lungomare della cittadina del Tirreno cosentino – in cui, nel corso delle lunghe indagini della Procura paolana, è stato rinvenuto interrato materiale inquinante. E l’elenco delle sostanze che hanno contaminato l’area è decisamente lungo: vanadio, cromo, cobalto, nikel, rame, zinco, arsenico, mercurio, piombo, policlorobifenili, amianto e ancora coloranti azoici, lana di vetro, idrocarburi policiclici aromatici e soprattutto cromo esavalente. Un metallo pesante conosciuto per gli effetti devastanti sull’organismo e presente, soprattutto, nei coloranti chimici come quelli utilizzati per la produzione di tessuti della Marlane. Di questo agente, noto alla letteratura scientifica come responsabile tra l’altro del carcinoma polmonare, ne venne trovata una presenza consistente dalla consulente tecnico della Procura di Paola, Rosanna De Rose: 8 milligrammi per chilogrammo (il livello di attenzione è fissato a 2 milligrammi). Mentre i quantitativi di colorante azoico definiti «impressionanti» dal perito tecnico. Ben 646 grammi per chilogrammo analizzato. «Sostanze chimiche – scrive nella sua relazione la De Rose – che derivano da processi di lavorazione compatibili con quelli dei processi di tintoria».
Bene, quest’area, stando a quanto affermato alla Procura dal Tribunale paolano, dovrebbe rimanere – almeno per ora – sotto sequestro. Rinviando nel tempo la richiesta della Marzotto di riprendere possesso dei terreni per provvedere – così come espresso dalla società di Valdagno – alla caratterizzazione del sito prima e poi alla sua bonifica. Ma soprattutto recuperare un terreno che per ora rimane solo una passività per il bilancio dell’azienda tessile e, magari, rivenderlo una volta sanato al migliore offerente. Visto il suo indubbio valore per la posizione strategica all’interno della cittadina tirrenica: l’intera area dello stabilimento – circa 200mila metri quadrati – si trovano a pochi passi dal mare.
Intanto la Procura è all’opera per impugnare la sentenza davanti la Corte d’appello di Catanzaro. Dopo il deposito delle motivazioni della sentenza che ha assolto con formula piena i 12 imputati del processo per il presunto disastro ambientale che avrebbe comportato anche la morte di decine di operai della Marlane, il procuratore capo Bruno Giordano sta raccogliendo altri elementi da presentare in aula utili per comprendere a cosa siano dovute tutte quelle morti e malattie tumorali contratte dagli ex dipendenti dello stabilimento tessile praiese.
Roberto De Santo
r.desanto@corrierecal.it
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