LAMEZIA TERME Sarà la tappa di Marcellinara del 5 aprile del tour “Tracce clandestine”, a cementare ulteriormente un rapporto con la Calabria che il cantante Davide (Dudu) Morandi vede ormai come felicemente avviato. Non lo dice con piaggeria, ma con la franchezza che caratterizza lui e il resto dei Modena City Ramblers: «Non è vero – dice – che in Calabria non c’è cultura, perché la realtà musicale e giovanile con cui ci confrontiamo ci dimostra il contrario». I tempi in cui la regione era – più per questioni di opportunità che per volontà – la «tappa quasi obbligata per arrivare in Sicilia» (e anche questo lo dice con altrettanta franchezza) sono finiti. E i Modena, messe da parte 15 cover o «15 figli», come li chiama Davide, di tutto rispetto, si preparano ad accompagnare il pubblico catanzarese per l’appuntamento pasquale dello “Zoom Music Club”. Nella valigia dell’artista, che ricorda un po’ quella (scarna ma fatta dell’essenziale) del migrante, le convinzioni di sempre: il tema «caro» della Resistenza e un occhio critico sull’attualità. Poi – o forse prima – ovviamente, la musica.
Vedremo dei Modena “inediti” nella tappa di Marcellinara? Ho letto di “brani che il pubblico non si aspetta”.
«Vedremo, sulla scia delle canzoni contenute nell’album – pubblicato il 24 marzo ndR – dei Modena diversi. Quelli delle canzoni di altri artisti proposti nei live che sono sempre piaciute al pubblico ma che non ancora state incise, ma anche quelli che tutti conoscono di Ebano, I cento passi o In un giorno di pioggia. Non veniamo in Calabria da quest’estate e a Marcellinara dall’anno scorso, ma siamo convinti che, come al solito, sarà una bella festa».
Che idea vi siete fatti della regione?
«Il nostro rapporto con la Calabria ha radici lontane. Agli esordi ci venivamo spesso ma, lo ammetto, le soste erano piuttosto casuali. Oggi ci torniamo davvero volentieri, e anzi al momento abbiamo più trattative, per rendere l’idea, con la Calabria che con la Lombardia. Si dice spesso che è una regione dove è impossibile fare qualsiasi cosa: non è così. Non è per niente la pecora nera della cultura, lo dimostrano un sacco di realtà “virtuose” e l’apertura dimostrata verso gruppi come il nostro».
Ha parlato di trattative in corso: può anticipare qualcosa?
«Con buona probabilità torneremo ad agosto. Non posso dire ancora nulla di certo, ma potremmo suonare a Cosenza e sulla costa jonica».
Perché le tracce sono “clandestine”? «Sono quelle che ci sono sempre state senza fare rumore, importanti ma fuori, fino a questo momento, dalla discografia ufficiale. Un po’ come i clandestini, che sono fuori dalla società in senso lato. Spesso facciamo finta di non vederli, o ci ricordiamo di loro solo per le cose negative».
C’è quindi un riferimento all’attualità dell’ultimo periodo? Penso, per la sola Calabria, ai numerosi sbarchi e alla condizione dei migranti di Rosarno.
«C’è senz’altro un riferimento. Il nesso è stabilito con la musica, con pezzi come Clandestino di Manu Chao o Rock the Casbah dei Clash, così come negli scorsi anni abbiamo fatto con Ebano.
Penso che il fenomeno dell’immigrazione ci dovrebbe ricordare di quando eravamo così anche noi. Non esistono solo i cosiddetti “cervelli in fuga”, ci sono stati anche i nostri antenati che con la valigia di cartone cercavano fortuna in America o in Sud America, e molti si spostano tuttora. Io credo che le porte di una nazione debbano essere sempre aperte, perché i migranti rappresentano, a saperlo usare, un importante valore aggiunto. Sarebbe la ricetta per una buona società: quelle che conosciamo oggi sono nate proprio dall’amalgama di varie culture».
Quali sono le difficoltà oggettive di far passare un messaggio così semplice?
«C’è molto da addebitare alla politica, che ha un modo di fare sorpassato, vetusto. È facile, come fanno Salvini e la Lega, puntare per forza il dito contro qualcuno, perché così si scaricano le responsabilità e si cavalca l’ondata di dissenso. Se domani dovessimo cacciare gli immigrati come dicono di voler fare, la crisi finirebbe di colpo? Non credo».
Un altro “tema” ricorrente anche nell’ultimo album è quello della Resistenza: come si fa a resistere in tempi in cui ci si è assuefatti alla cattiva politica, in tempi di burocrazia selvaggia e di spersonalizzazione legata ai social?
«Per noi canzoni e memoria storiche sono molto importanti. L’antidoto, se così si può definirlo, è uno: la coerenza. Si può “resistere” semplicemente essendo coerenti con quello che si crede. Ascoltare, approfondire, essere coerenti con i propri valori. Non è facile, anzi siamo spinti in tutt’altra direzione, ma non è neppure impossibile».
Zaira Bartucca
z.bartucca@corrierecal.it
x
x