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Pesa più un santino di un massone

Non più tardi un mesetto fa, la Procura nazionale antimafia, nella sua annuale relazione, segnalava con discreto allarme non solo che la ‘ndrangheta è e resta l’organizzazione criminale più pericol…

Pubblicato il: 03/04/2015 – 8:56

Non più tardi un mesetto fa, la Procura nazionale antimafia, nella sua annuale relazione, segnalava con discreto allarme non solo che la ‘ndrangheta è e resta l’organizzazione criminale più pericolosa al mondo, ma anche che da organismo vivo e ricettivo delle modificazioni sociali in corso, nel tempo è stata anche in grado di modellarsi sulla base di una “specializzazione funzionale”, assegnando compiti e ruoli diversi alle ‘ndrine espressione dei mandamenti in cui si divide. Si sta parlando – ovviamente – della ‘ndrangheta della provincia reggina, origine e baricentro – affermano sentenze anche definitive – di tutte le costole della medesima matrice sparse per il globo.

Ora, analizzando il fenomeno attraverso il filtro della specializzazione funzionale, se alla Jonica tocca la gestione del narcotraffico e alla Piana quella dello strategico Porto di Gioia Tauro, a Reggio città, considerata la testa della ‘ndrangheta – dice la Dna – viene delegato un compito ancor più delicato: «curare per conto e nell’interesse dell’intera organizzazione i rapporti con la politica e le istituzioni, a un livello più elevato». Non si tratta – si preoccupa di sottolineare la Dna – della gestione di questo o quel politico, funzionale ad accaparrarsi questo o quell’appalto. «Ciò a cui ci riferiamo – ci tengono a specificare i magistrati della Procura nazionale antimafia – è il collegamento con un ambito più elevato, che supera il rapporto con l’assessore e il sindaco di un certo Comune e si proietta in ambito regionale, nazionale e, talora internazionale che, inoltre, non si limita al rapporto con la sola politica ma, più complessivamente, si estende al mondo delle Istituzioni, quindi ai rapporti con gli apparati investigativi, la burocrazia ministeriale, la magistratura».
Traduzione, se l’eversione fosse una scienza, a Reggio Calabria risiederebbero i suoi massimi esperti. In un certo senso, non si tratta di una novità. Lo ha raccontato con dovizia di particolari la storia di eventi come i moti di Reggio o il tentato golpe borghese, lo dicono le sentenze, lo svelano le inchieste, che più e più volte hanno svelato il ruolo di questo o quel professionista, che ha prestato le proprie competenze, ma soprattutto il capitale sociale dei propri contatti alla causa dell’affermazione della ‘ndrangheta tutta. Giornalisticamente sono spesso definiti insospettabili, a loro carico spesso non risultano neanche multe non pagate e non hanno neanche la necessità di mantenere assidue frequentazioni con personaggi resi ingombranti da sospetti di mafia, perché altri sono funzioni e canali di comunicazione. Risultato? Il più delle volte se la cavano con un’accusa di concorso esterno , che tale sia nelle ipotesi formalizzate dal pm o perché in tal senso derubricata nelle fasi successive.
Fino a qualche giorno fa, legge e giurisprudenza permettevano di lasciare questi personaggi dietro le sbarre anche nella lunga fase che precede l’esecuzione della condanna, ma da quando la Corte Costituzionale ha stabilito che anche in presenza di esigenze cautelari, il carcere non è obbligatorio per i concorrenti esterni, è un fioccare di scarcerazioni. Per carità, nessuno è colpevole fino al terzo grado di giudizio. Però la situazione che si viene a creare è a dir poco paradossale.
Per il Giudice delle leggi, è pericoloso e deve stare in galera questo o quel pezzo di malacarne beccato a bruciare un santino di San Michele Arcangelo, a discutere di cariche e affiliazioni o avvistato a mangiate, ma in fondo può scontare la custodia cautelare ai domiciliari chi ha fatto della propria rete di relazioni – che tocca e infetta le istituzioni, magistratura inclusa – il capitale che gli ha permesso di far aumentare il proprio peso specifico nell’organizzazione. In sintesi, bastone per la bassa manovalanza, velluto per i signori. E schizofrenia manifesta per il mondo grande della Giustizia che in sentenze afferma la divisione fra la struttura visibile e quella invisibile della ‘ndrangheta, nelle sue pubbliche manifestazioni promette di perseguire quest’ultima, ma con le sue statuizioni lo rende sempre più complesso.
Certo, la decisione spetta sempre al giudice, anzi ai giudici delle innumerevoli sedi in cui un indagato possa far valere le proprie ragioni. Però – forse – ancora una volta, è lo stesso apparato repressivo dello Stato a mutilare le sue armi, come un medico che si autodiagnostichi un male, ma si prescriva solo palliativi. E allora forse, non c’è da stupirsi che la ‘ndrangheta – nonostante operazioni, arresti e condanne – sia e continui ad essere l’organizzazione criminale più potente al mondo.

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