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Proibizionsimo, fine di un tabù?

Chi ha seguito i miei interventi in materia di droga e di proibizionismo sa bene come la penso. Il proibizionismo, di per sé criminogeno, ha fallito i suoi obiettivi: tutti, senza distinzione. Nato…

Pubblicato il: 07/04/2015 – 9:45

Chi ha seguito i miei interventi in materia di droga e di proibizionismo sa bene come la penso. Il proibizionismo, di per sé criminogeno, ha fallito i suoi obiettivi: tutti, senza distinzione. Nato per contrastare il commercio e il consumo di sostanze stupefacenti attraverso politiche fortemente repressive, si poneva il duplice obiettivo di limitare fortemente i consumi al fine di tutelare la salute dei cittadini ed in particolare dei giovani; di tutelare l’ordine pubblico turbato dalla criminalità organizzata dedita al commercio e allo spaccio delle droghe. È riuscita, con rara efficacia, a conseguire risultati esattamente opposti a quelli prefissati. E tutto questo nel giro di quarant’anni o poco più.
La criminalità organizzata – e più in particolare le mafie di ogni paese, e quelle italiane tra le protagoniste principali – ha colto immediatamente l’occasione che le veniva offerta: una sorta di concessione gratuita, perpetua ed esclusiva del traffico di sostanze stupefacenti nel mondo. Non avrebbe potuto desiderare di meglio e di più. Ha inondato il mondo di droga, con l’offerta capillare, efficiente, di ogni tipo di droga, ha collegato i paesi produttori con i mercati di consumo attraverso una rete di trasporti via mare, terra e aria, ha organizzato la distribuzione del prodotto su strada, ha generato profitti enormi dell’ordine di migliaia di miliardi (circa settecento all’anno) che ha provveduto a reinvestire e riciclare nella finanza, nell’economia produttiva, nel commercio, così moltiplicando i profitti e di conseguenza penetrando in ciascuno di questi settori con ruolo sempre crescente. È accertato ormai che dopo anni di proibizionismo e di repressione, di migliaia di processi e di condanne a pene severissime, in alcuni paesi asiatici anche con la pena capitale, la produzione di droghe è aumentata, i consumi sono aumentati e i prezzi…sono diminuiti, così estendendo l’area dei consumatori. Non si sono limitati i consumi, non si è tutelata la salute e la criminalità organizzata internazionale non è stata mai così ricca e potente come in questi anni. Sarebbero già sufficienti questi elementi per decretare il fallimento totale del proibizionismo. Ma c’è ancora altro. Occorre tenere conto anche degli effetti collaterali, non meno gravi e pericolosi. Le mafie, per conquistare spazi di mercato, hanno conosciuto al loro interno guerre sanguinose, che hanno fatto migliaia di morti. A Palermo, Napoli, Reggio Calabria, gli anni ’80 del secolo scorso sono esplose guerre intestine durate anni, che, quanto meno come concausa, nascevano dall’esigenza di affermare la supremazia di un gruppo, cosca, clan, famiglia, sull’altro nella gestione delle forniture di droga e nell’acquisizione dei mercati più ricchi. Ancora oggi le guerre dei quartieri di Secondigliano e Scampia, nella periferia di Napoli, di Ostia, del nord della Puglia, hanno motivazioni analoghe. In Messico, per il solo mutamento delle rotte della cocaina dalla Colombia verso gli Stati Uniti, maggior paese consumatore del mondo di polvere bianca, che prima passavano dai Caraibi e, da qualche decennio, dal Messico, ha determinato in questo paese la nascita di cartelli agguerritissimi che hanno scatenato guerre feroci cruente, con un bilancio di oltre cinquantamila omicidi nel giro di pochi anni. In compenso, i cartelli messicani sono tra i più ricchi al mondo, sono in grado di minacciare la sicurezza dello Stato, hanno generato fenomeni di corruzione diffusa tra uomini politici, poliziotti, magistrati, ma anche tante vittime tra gli esponenti di queste istituzioni. Fenomeni simili si registrano in Brasile, Argentina, Guinea, Nigeria. Sul versante della domanda, gli effetti criminogeni non sono meno evidenti. Migliaia di tossicodipendenti, per procurarsi il denaro necessario per l’acquisto delle dosi di droga di cui hanno bisogno, ricorrono a reati di strada, come scippi, furti, rapine, o, in alternativa divengono essi stessi spacciatori al minuto, ponendosi al servizio delle organizzazioni criminali. Gli effetti collaterali non si esauriscono qui. Sovraffollamento delle carceri, la cui popolazione è ormai composta, per la stragrande maggioranza da spacciatori, appesantimento del funzionamento della giustizia penale, impegnata in processi altrettanto numerosi per spaccio, aumento delle spese per il recupero dei tossicodipendenti, e molto altro ancora. Vi sono sostanze liberamente in commercio altrettanto dannose, e forse più, delle droghe, quanto meno di quelle “leggere”, sulle quali l’esigenza di contenere il consumo a tutela della salute pubblica (alcool e tabacco tra tutte) viene soddisfatta con misure assai diverse, come la tassazione e la regolamentazione. Misure non repressive, ma altrettanto dissuasive di quelle proibizioniste, molto meno costose per lo Stato, anzi produttive di entrate fiscali. Il consumo di tabacco si è ridotto drasticamente ed il fumo è di fatto sparito dalle abitudini quotidiane della maggior parte dei cittadini (i più anziani ricorderanno le sale cinematografiche, le carrozze ferroviarie, i caffè, come luoghi in cui nuvole di fumo avvolgevano anche i non fumatori), quello di alcool di meno, ma non ha mai assunto alti livelli di pericolosità per la salute dei cittadini. Negli Stati Uniti, con la fine del proibizionismo dell’alcool, i consumi si ridussero drasticamente. La regolamentazione poi, consente l’immissione sul mercato di sostanze controllate, con percentuale di principi attivi limitati, in modo da minimizzare i danni alla salute (le sigarette non devono superare una determinata quantità di nicotina e anche i superalcoolici non possono avere una percentuale di alcool superiore al 43%). Sono misure note agli economisti, che potrebbero costituire valide alternative, idonee a conciliare le esigenze di tutela della salute dei cittadini e riduzione dei profitti criminali. Sinora, tuttavia, parlare in Italia di superamento del proibizionismo o, almeno, provare a parlarne, era impossibile. L’argomento era tabù, per pregiudizi ideologici, religiosi, sanitari, politici. Va ricordato che, così come esiste un’economia del traffico di droga, esiste anche un’economia della proibizione, il complesso cioè dei vantaggi economici e delle rendite ideologiche, politiche, istituzionali, che il proibizionismo assicura. Il che costituisce impedimento non ultimo all’avvio di un serio e approfondito dibattito sull’argomento. Non provo neppure a sfiorare i profili di compatibilità costituzionale del proibizionismo, in relazione al diritto all’autodeterminazione del cittadino rispetto alla gestione della propria vita, perché se è vero che l’art. 32 della Costituzione tutela il “diritto” alla salute è anche vero che nessuna norma impone il “dovere” alla salute. Ne hanno parlato, il professore Giovanni Maria Flick in Droga e legge penale e Giovanni Cosi in La liberazione artificiale-L’uomo e il diritto di fronte alla droga, entrambi pubblicati nel 1979. Mi riservo di parlarne più diffusamente in altra occasione. Per il momento mi limito a riferire la notizia che sessanta deputati del nostro Parlamento stanno lavorando ad una proposta di legge circa la legalizzazione dell’uso della marijuana, una proposta definita «pragmatica e non ideologica», che punta a sottrarre denaro alla criminalità organizzata e che «prende atto del fallimento del proibizionismo». Nella relazione che accompagna la proposta si cita la recente relazione al Parlamento della Direzione nazionale antimafia, quando rileva: «Si ha il dovere di evidenziare che, nonostante il massimo sforzo profuso dal sistema nel contrasto alla diffusione dei cannabinoidi, si registra il totale fallimento dell’azione repressiva». Ciò nonostante l’esperienza mi induce alla cautela. Le rendite di posizione assicurate dal proibizionismo si faranno sentire e dubito che la proposta possa, almeno nel breve termine, divenire legge dello Stato. Ma è un buon inizio: si comincia finalmente a parlarne anche nelle aule parlamentari. Forse, il mio impegno, del tutto isolato in magistratura, nel segnalare da anni il disastro prodotto dagli enormi profitti che
le mafie italiane hanno ottenuto dalla concessione governativa di cui parlavo in apertura, non è stato vano.

 

*Magistrato

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