REGGIO CALABRIA Avrebbe potuto già essere agli arresti domiciliari in una residenza di famiglia in Toscana, ma la mancanza di un braccialetto elettronico disponibile lo costringe a rimanere dietro le sbarre. E’ andata male al “comandante” Giorgio Hugo Balestrieri, controverso personaggio in bilico fra ‘ndrine, logge e servizi di intelligence nazionali e internazionali, arrestato qualche mese fa in Marocco dopo una lunga latitanza e di recente estradato in Italia. Per lui, finito in carcere per l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare emessa a suo carico nell’ambito dell’indagine Maestro, il gip di Reggio Calabria, aveva disposto i domiciliari con contestuale applicazione del braccialetto elettronico, ma la mancanza di un dispositivo disponibile lo costringe ancora dietro le sbarre. In Italia infatti, i “braccialetti” non sono più di duemila, quindi al “comandante” è toccato mettersi in coda. Fin quando uno dei dispositivi non tornerà disponibile, Balestrieri rimarrà ospite del carcere di San Pietro a Reggio Calabria.
Ufficiale della marina militare dal 1963 al 1981 – come lui stesso indica orgogliosamente nel suo profilo Linkedin – Balestrieri sarebbe uno degli affiliati alla loggia P2 di Licio Gelli, con tessera numero 907, smascherato dalla perquisizione del marzo 1981 a Castiglion Fibocchi. Stando a quanto avrebbe riferito il faccendiere Elio Ciolini – divenuto noto per il suo presunto coinvolgimento nelle indagini sulla strage di Bologna –, Balestrieri farebbe parte anche della loggia riservata “Montecarlo”, «un potentato economico – si legge nella relazione conclusiva della commissione – dominato dalle personalità di Andreotti, Agnelli, Calvi, Monti, Ortolani, Gelli e dal capo del gruppo editoriale Rizzoli e vari altri distinti fratelli fondatori, esecutivi e attivi». Per le diverse Procure che si sono ritrovate a indagare, il “comandante” per lungo tempo avrebbe lavorato come agente dei servizi segreti americani in Italia, o meglio in Calabria, nonostante dal 1981 sia formalmente residente a New York, dove è diventato un uomo in vista della comunità, tanto da figurare per decenni come vice presidente del Rotary club della città. Di sé, al pm Roberto Di Palma – che per lungo tempo gli ha dato la caccia, accusandolo di aver gestito affari per il clan Molè – Balestrieri ha fatto sapere di essere un agente entrato in contatto con persone sospette solo perché impegnato in un’operazione di intelligence per conto di un organismo, mai meglio specificato. Una versione cui i magistrati non hanno mai creduto e informalmente sconfessata dagli apparati di intelligence, ma su cui oggi i pm vogliono sapere di più. Così come pretendono di sapere di più su una figura che ha fatto dell’ambiguità la caratteristica distintiva della propria esistenza.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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