REGGIO CALABRIA Sono due donne poco più che ventenni la sintesi e il simbolo del periplo dei 677 migranti arrivati oggi a Reggio Calabria. La prima, di origine eritrea, poco dopo essere arrivata a bordo della Orione ha dato alla luce una bimba. Insieme al padre, hanno deciso di chiamarla Lamlam, che in arabo sta a significare la famiglia che si riunisce, che si tiene insieme. L’altra donna invece è stata molto meno fortunata. Il suo viaggio si è interrotto nel Mediterraneo e alle porte dell’Europa è arrivata già cadavere. Il suo corpo – hanno comunicato gli ufficiali medici di bordo – non presenta ferite o tagli visibili e sembra sia morta per annegamento. Ma anche lei – forse – aspettava un bambino. Un’ipotesi cui l’autopsia nei prossimi giorni darà risposta, mentre toccherà a inquirenti e investigatori identificare i responsabili di queste ed altre morti.
SOPRAVVISSUTI AL ROVESCIAMENTO DEL BARCONE
A bordo della Orione, ci sono infatti anche i 144 superstiti del naufragio avvenuto nella notte fra domenica e lunedì al largo delle coste della Libia e salvati dall’intervento dei militari. In tanti, però, non ce l’hanno fatta. In mare, i marinai della Orione hanno recuperato nove cadaveri, ma – dicono i naufraghi – a scomparire, inghiottiti dalle onde, potrebbero essere stati molti di più. Secondo alcuni, erano in più di duecento a viaggiare su quella carretta del mare, e chi ce l’ha fatta ha ancora sul viso e sul corpo i segni di quell’incubo. Alcuni si riparano con le termocoperte, altri si tengono stretti i pochi stracci induriti da vento e salsedine, nessuno ha le scarpe, ma quando arrivano a terra sorridono semplicemente per l’ebbrezza di essere vivi e – forse per la prima volta da giorni – al sicuro. Hanno fame, sete, portano addosso la stanchezza e i malesseri di un viaggio interminabile, ma sono vivi. E questa è per loro già una vittoria.
IL ROSARIO INFINITO DEI BARCONI
Ma insieme ai naufraghi salvati dalle acque del Mediterraneo, sulla Orione hanno viaggiato altri migranti, tutti recuperati da diversi barconi intercettati nel corso della traversata. In larga parte – dicono dal dispositivo di accoglienza – sono etiopi ed eritrei, ma ci sono molti anche gli uomini e le donne che arrivano dagli Stati dimenticati del centr’Africa. Mali, Gambia, Guinea, Nigeria. I paesi d’origine sono diversi, ma comuni le storie di fame, miseria, persecuzione. Per lo più si tratta di uomini giovani che dopo un viaggio interminabile sono arrivati in Libia, da dove sono partiti facendo rotta sull’Europa, ma ci sono anche 67 donne e un vero e proprio esercito di minori.
IL DRAMMA NEL DRAMMA DEI MINORI NON ACCOMPAGNATI
Neonati, bimbi dai due ai dieci anni, adolescenti, secondo i primi calcoli sono più di duecento i minorenni che viaggiavano sui diversi barconi intercettati dalla Orione. E molti di loro – commentano sconcertati gli operatori – non sono accompagnati. Da soli hanno affrontato un viaggio rischioso, con un Mediterraneo in tempesta e che ancora resiste ai venti di primavera. Per loro come per quelli che hanno necessità di essere ospedalizzati, per il momento il viaggio si ferma a Reggio Calabria. Tecnicamente infatti, si tratta di minori in stato di abbandono, la cui presenza deve essere immediatamente segnalata alla Procura competente, chiamata a emettere una serie di provvedimenti di tutela per il minore – primo fra tutti la nomina di un tutore legale – come a dichiararne lo stato di adottabilità qualora non abbia parenti in vita. In più, sempre alla procura compete l’inserimento dei ragazzi in una struttura di accoglienza, tenuta non solo all’immediata assistenza – un tetto, un letto e il necessario per mangiare e vestirsi – ma anche a fornire al minore tutte le possibilità di inserirsi, lavorare, imparare, la lingua italiana, istruirsi. In Calabria le strutture sono poche e in larga parte già sature, ma in attesa che da altre regioni rendano note le disponibilità, saranno ospitati a Montebello jonico, nel reggino.
GUANTI, MASCHERINE, ACQUA OSSIGENATA : A BORDO MANCA TUTTO
Allo stesso modo dovranno fermarsi a Reggio, quelli troppo debilitati dal viaggio o dalla lunga permanenza sul ponte della nave, esposti ad acqua e intemperie – in due, oltre alla madre di Lamlam sono stati accompagnati in ospedale – e quelli affetti da scabbia e pidocchi. Nulla di grave, in entrambi i casi tutto si risolve con un trattamento topico di qualche giorno, che avrebbe potuto essere iniziato già a bordo, se le navi della Marina fossero dotate di antiparassitari e antiscabbia. Ma sui pattugliatori manca anche l’essenziale. Non ci sono antibiotici, antipiretici e antiemetici, ma mancano addirittura acqua ossigenata, guanti e mascherine. “è come andare in guerra senza proiettili né percussore”, commenta a mezza bocca chi ne è informato. Per questo, ufficiali e personale medico non possono far altro che isolare chi ha la scabbia, fornendogli una tuta bianca che una volta a terra facilita lo smistamento. Ma nulla di più. Tocca poi ai medici deputati al controllo a terra, non solo predisporre il trattamento per i pazienti già identificati, ma anche visitare scrupolosamente tutti gli altri.
QUATTRO PRESUNTI SCAFISTI INDIVIDUATI
Allo stesso modo, tocca agli investigatori reggini individuare i presunti scafisti. Non c’è tempo per indagini raffinate, nel giro di poco devono cominciare le operazioni di sbarco e smistamento dei migranti e a meno che non possano contare sulle testimonianze dei naufraghi, gli indizi su cui possono contare sono pochissimi. Questa volta però la Mobile sembra aver avuto fortuna. In quattro sono stati accompagnati in Questura per ulteriori accertamenti dove saranno sentiti con l’aiuto dei mediatori e i loro dati verranno incrociati con le testimonianze e le segnalazioni raccolte.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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